SAN
COLOMBANO
Note a cura di Riccardo Tonna
Istituto
Comprensivo di Bobbio
2010
San Colombano Vetrata cripta Abbazia di Bobbio |
Il santo abate Colombano è l’irlandese più
noto del primo Medioevo: con buona ragione egli può essere chiamato un santo
«europeo», perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari
Paesi dell’Europa occidentale.
Insieme agli irlandesi del suo tempo, egli era
consapevole dell’unità culturale dell’Europa. In una sua lettera, scritta
intorno all’anno 600 e indirizzata a Papa Gregorio Magno, si trova per la prima
volta l’espressione «totius Europae, di tutta l’Europa», con riferimento alla
presenza della Chiesa nel Continente (cfr Epistula I,1).[1]
1.
PERIODO IRLANDESE
In
Irlanda il Vangelo prese immediatamente radici e a meno di cento anni dopo la
morte di san Patrizio (461), si assiste a quella sorta di esplosione che è
chiamata "il miracolo irlandese".
L'uomo che personifica questo vigore dell'apostolato irlandese nel mondo è proprio Colombano. "Un uomo dotato
della santità itinerante che caratterizza l’epoca dell'Alto Medioevo, periodo che si riteneva condannato a stagnare
nell'ignoranza, che invece con ogni probabilità
fu un secolo chiave nella storia della
civiltà occidentale e del Continente Europeo". [2]
Croce celtica nel monastero di Clonmacnoise |
Questo santo proviene dal monachesimo irlandese, un
movimento di grande spiritualità cristiana che si è diffuso rapidamente in
questa isola legandosi ai clan tribali.
Il monachesimo era qui strutturato come
una cittadella fortificata, con semplici capanne in legno, costruite dagli stessi monaci,
raccolte intorno ad una chiesa, circondate da una palizzata. Solo in seguito
furono costruite in muratura, in particolare nell'Irlanda occidentale, dove il
legno era più scarso.
I monaci provvedevano essi stessi al proprio
sostentamento e conducevano una vita dura, fatta di lavoro manuale, studio,
preghiera e pratiche di mortificazione. Ogni monastero aveva la sua regola e i
monaci erano tenuti all'obbedienza nei confronti dell'abate. [3]
Colombano nacque a Navan località del Leinster
nel 540 circa. Lo possiamo definire figlio della sua terra che aveva
plasmato in lui una forte personalità ed un carattere energico.
Questa terra viene descritta molto bene da Giona,
monaco della val di Susa, biografo di Colombano, che così ne parla:
“Nacque nell’isola d’Irlanda, situata all’estremità
dell’Oceano, rivolta verso il tramonto del sole. Quivi gigantesche ondate
aprono abissi terrificanti, spaventosi per il loro colore, increspandosi in
maniera impressionante sulle alte creste, con il biancheggiante manto creato
per un istante dal ceruleo[4]
dorso e battono gli schiumosi lidi, estreme insenature delle terre e non
permettono alla nave disarmata e tranquilla di viaggiare sul mare agitato per
renderci note quelle spiagge” [5]
Giona entrò nel monastero di Bobbio verso il 618 e
scrisse la vita di Colombano per incarico dell’Abate Bertulfo.
Con questo suo scritto, vuole metter in risalto la
straordinaria forza d’animo di Colombano, le sue eccelse virtù, il suo zelo
apostolico ed in particolare i prodigi da lui compiuti. Colombano è l’uomo di
Dio mandato sulla terra per evangelizzare le genti, sulle orme di Cristo.
Per
questo ha rinunciato a tutto, ha abbandonato la madre, il suo paese, la sua
terra, ha rinnegato se stesso, ha seguito Cristo il suo vero ed unico modello.
Giona attribuisce al Santo molti miracoli simili a quelli compiuti da Cristo
stesso, come la moltiplicazione dei pani, la guarigione di indemoniati, la
pesca miracolosa ed altri. Ciò può suscitare nel lettore moderno una certa
perplessità e diffidenza riguardo al valore storico dell’opera, ma dobbiamo
riportarci nel contesto del tempo in cui il libro è stato scritto.
La mentalità
di allora, infatti era propensa a vedere, gran parte degli atti di un uomo di
straordinaria religiosità, in una luce miracolistica a scopo celebrativo della
persona.[6]
Colombano, da questa biografia, sembra riunire in sé
tutte le qualità fisiche, intellettuali, spirituali che si possono incontrare
in un essere umano.
Sempre il testo di
Giona ci permette di sapere che era di aspetto avvenente e che aveva dedicato
la sua giovinezza sia agli esercizi fisici che agli studi in mezzo alla natura
in quella contea di Leinster dove era nato da nobile famiglia; un'educazione
molto accurata fa di lui un cavaliere, un arciere emerito e anche - poiché è
compagno e amico dei pastori, dei contadini del posto - un essere sensibile
alla vita della natura come lo è stato fin da bambino alla preghiera, alla
salmodia, alla conoscenza della Sacra Scrittura.
Secondo gli usi del tempo,
impara a leggere cominciando dal salterio[7], il suo
maestro gli insegna anche gli elementi di quelle arti liberali che formano la
base dell'educazione: musica, aritmetica, geometria, astronomia e soprattutto
la "grammatica", vale a dire sia quello che noi intendiamo con questo
termine, sia le lettere in genere, poesia, storia, letteratura.
Giovanissimo,
si rivela egli stesso poeta; insomma,
sua madre, che prima della sua nascita aveva avuto la rivelazione che un sole
ardente sarebbe uscito da lei, dovette vedere realizzarsi fin dall'infanzia
l'interpretazione che poteva dare a quella fulgida visione. [8]
Nella
giovinezza Colombano si trova a un bivio, come è facile supporre.
Ascolterà le
sollecitazioni che si immaginano numerose, per un ragazzo cosi
straordinariamente dotato, oppure le dominerà
superando se stesso e lasciando a Dio la cura di guidarlo anima e corpo
verso le proprie mete?
Esitante,
conteso, divorato da tutti gli impulsi e le attrazioni che sente in sé,
Colombano va a chiedere consiglio a una santa donna, oggi diremmo una monaca di clausura, che vive
nei pressi e gode fama di grande saggezza; essa lo consiglia energicamente di
fuggire il mondo come ha fatto lei stessa quindici anni prima, ripetendo in
conclusione l'esortazione del Vangelo: " Alzati e cammina".
Tornato a
casa, Colombano decide a sua volta di lasciare tutto, persino il luogo dove è nato
e a cui è molto legato, persino sua madre che lo ha guardato crescere con
fervente ammirazione; al momento della partenza essa, che ha fatto di tutto per
trattenerlo, si corica attraverso la porta.
Colombano le cita il Vangelo:
"Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me ".
Giona
parla delle lacrime con cui entrambi inaugurano il loro nuovo destino, dopo questa
violenta separazione.[9]
Formazione
monastica a Bangor
Il
giovane raggiunge l'isola di Cleen ed è ammesso nell'abbazia di Cluain
Inis, retta da un santo abate chiamalo Sinneill; nel corso di alcuni anni
si forma a questa esistenza che unisce solitudine e comunità, nella capanna
dove si rifugia conducendo una vita di preghiera, di silenzio, di lavoro.
Poi
si reca in un'altra abbazia, Bangor, situata nell'Ulster, dove sono
riuniti - si dice - tremila monaci; è lì, sotto la guida dell’abate Comgall, che
diventa prete.
Bangor è il centro di una
grande irradiazione, il famoso
antifonario lasciato dall'abbazia e oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana
di Milano attesta lo sviluppo intellettuale e spirituale raggiunto nell'abbazia
quando fu composto, nella seconda metà del VII secolo; è miniato con spirali,
arabeschi, tutte le figure fiabesche sono disegnate con quella sicurezza e
quella forza immaginativa inesauribile che caratterizzano l'arte irlandese
dall'antichità fino al XIII secolo.
2. PEREGRINATIO
Dopo
molti anni passati a Bangor, cresce sempre più in Colombano l’ideale ascetico
tipicamente irlandese della “peregrinatio pro Christo”, del farsi cioè
pellegrino per Cristo che ha costituito uno dei fattori dell’evangelizzazione e
del rinnovamento culturale dell’Europa.
Jean
Leclercq[10]
fa notare che la "peregrinazione" non era un'alternativa all'eremo e
alla spiritualità tradizionale che il monachesimo esprimeva e suscitava: i
monaci colombaniani vivevano una vita appartata e cenobitica[11], segnata
dal digiuno, dall'orazione e dalla solitudine. La "peregrinazione" significava
«esercizio di mortificazione», esilio, povertà, distacco a imitazione di
Abramo, che lascia la sua terra e la sua casa.
Quindi,
secondo Colombano, la peregrinazione era una dimensione costitutiva del suo
monachesimo.
Così
egli stesso si esprimeva nei suoi
scritti:
“Conserviamo
salda in noi questa convinzione, così da vivere nella via come viandanti, come
pellegrini, come ospiti del mondo, senza attaccarci ad alcuna passione, senza
desiderio alcuno dei beni
terreni,
ma in modo tale da colmare le nostre anime della bellezza delle realtà celesti
e
spirituali,
cantando intensamente e con arte: Quando verrò e contemplerò il volto del mio
Dio?
Infatti l'anima mia ha sete del Dio vivente (Sal 41, 3).[12]
Sbarco in Gallia e primo
insediamento ad Annegray (La Voivre)
Colombano
s'imbarca quindi verso il 590 per seguire il progetto della
“peregrinatio” con dodici discepoli.
Con
questi seguaci fa scalo sulle coste della Cornovaglia, poi nell'Armorica, e non
è escluso che il villaggio di Saint-Coulomb, non lontano dal golfo di
Saint-Maló (Ille-et-Vilaine), tragga il suo nome da uno di questi scali, e
forse persino dal suo sbarco in Gallia.
L'arrivo di quegli strani monaci
vestiti di bianco e tonsurati all'irlandese - ossia con la fronte ampiamente
scoperta dal rasoio che disegnava una specie di mezzaluna, mentre i capelli
erano tirati indietro e ricadevano sulle spalle -, doveva sorprendere le popolazioni;
inoltre era caratteristico il sacchetto in cui portavano il loro tesoro: il Vangelo.
Colombano
approda nella Francia merovingia, si reca quindi, con i suoi, a Rouen, Soisson e Reims in Austrasia
passa poi in Burgundia dove regnava il re Gontrano che offre loro
asilo.
Colombano
e i compagni accolgono il suo invito stabilendosi sulla frontiera della
Borgogna e dell'Austrasia, in una zona di foreste dove si trova un vecchio “castrum”[13], semidistrutto
e abbandonato, che ristrutturano tra il 591 e il 592 e realizzano su queste
rovine il primo insediamento monastico; si tratta di Annegray, presso i Vosgi.
La
narrazione di questo periodo da parte di Giona non manca di aspetti che si
potrebbero avvicinare ai Fioretti di san Francesco, ma reca il segno di un
paese più rude e di inizi più austeri: ora sono lupi che circondano Colombano e
finiscono per ritirarsi, lasciandolo
sano e salvo; oppure quelli che sono chiamati gli " svevi " - bande
di invasori attardarsi nel paese, una sorta di emigrati divenuti banditi - piombano
nella foresta, ma passano letteralmente vicino a lui senza vederlo.
Ancora
oggi si mostra sopra Annegray, su una collina boscosa, la grotta dove Colombano
si ritirava per pregare in solitudine; in origine era la tana di un orso che
alla fine divenne suo compagno. [14]
La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffonde velocemente attraendo pellegrini e penitenti.
La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffonde velocemente attraendo pellegrini e penitenti.
Soprattutto
molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere,
come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle
anime.
Fondazione
di Luxeuil e Fontaines importanti centri monastici
Poiché
Annegray è diventato troppo stretto per tutti i discepoli che vi affluiscono,
Colombano nel 593
fonda
il secondo e il più celebre dei suoi monasteri, Luxeuil; ne dovrà poi
creare un terzo, Fontaines.
Si
possiede il testo della regola di Luxeuil, formulata da san Colombano e
che probabilmente si limita a ripetere quella di Bangor, che è andata perduta.
I punti essenziali sono la preghiera, il lavoro, l'ascesi,
destinati a mantenere nel monaco l'ardore della carità, dell'amore di Dio,
nella pratica dei tre voti di castità, povertà e ubbidienza, che caratterizzano
ogni consacrazione religiosa.
Come
era allora di consuetudine, la preghiera è fondata sui salmi; alcuni monaci si
costringono a recitare quotidianamente l'intero salterio, in genere ogni giorno
se ne recita un terzo, ossia cinquanta salmi; la preghiera coinvolge anche il
corpo, essendo accompagnata da numerose genuflessioni, prostrazioni, o braccia aperte
in forma di croce.
Quanto al lavoro, si tratta del lavoro manuale,
assolutamente consueto per i monaci, o dello studio, molto coltivato in tutti i
monasteri irlandesi; e proprio l'Irlanda con i suoi monasteri insulari, e
quelli che semina in Occidente, fornirà a tutta l'Europa i soli studiosi ed
eruditi che siano in grado di trasmettere - nel momento di una rovina generale
delle scuole e del sapere – le acquisizioni dell'antichità, grazie alla loro
conoscenza del greco in particolare, dell'astronomia, della geografia e della
grammatica, ossia delle "lettere" antiche.
Infine
si deve sottolineare l'ascesi propria di questi monasteri: temperamento
fortissimo, desiderio di assoluto, austerità, intransigenza si fanno strada
attraverso le penitenze praticate:
-
immobilità totale
nella posizione delle braccia in forma di croce,
-
uso dei bagni gelidi
durante il quale spesso il monaco recita salmi,
-
astinenza
terribile: mangiar carne è assolutamente vietato, pare che il pesce fosse
riservato ai
giorni di festa, come le uova e il latte scremato: un solo pasto al giorno.
Insomma,
nel complesso una situazione impressionante.[15]
Però
in altri testi, che raccontano dei monaci irlandesi, vi sono accenni che
suggeriscono come il vero regime in uso presso questi monasteri era più
compassionevole di quanto le penitenze potessero far credere.
Nel bel mezzo dei
gesti più eroici fanno capolino aspetti di uno spirito gentile e umano.
Questi
sono, per esempio, la sollecitudine dell’abate per i monaci, per assicurarsi
che non abbiano troppo lavoro e siano nutriti adeguatamente, l’amore per gli
animali e l’apprezzamento per il mondo della natura.[16]
Quindi
l’austerità era però accompagnata da grande umanità che ha dato i suoi frutti
nello studio e nella cultura, segno di vivacità intellettuale che, in un
contesto cupo e legato solo alla penitenza, non si sarebbe così sviluppata.
Contrasto con i re
merovingi
La
vita del fondatore di Luxeuil viene segnata da alcuni dissidi con la regina Brunechilde,
reggente nel duplice regno di Austrasia e di Burgundia durante la giovinezza
dei suoi nipoti Teodeberto e Teodorico. Poiché aveva preso gusto al potere,
essa prolungava a suo modo quella gioventù e inesperienza assecondando i
piaceri del nipote Teodorico colui che avrebbe dovuto regnare in Austrasia;
infatti costui teneva intorno a sé moltissime ancelle, che in verità erano
concubine[17].
Brunechilde, già in conflitto con il vescovo di Vienne Desiderio, avrebbe
giudicato opportuno ingraziarsi Colombano.
Un giorno, sempre secondo il
racconto di Giona, gli porta alcuni dei figli naturali di Teodorico e gli
chiede di benedirli; il monaco rifiuta e lancia una predizione secondo cui quei
bambini non reggeranno mai lo scettro. Brunechilde replica vietando ai suoi sudditi
di varcare i confini del monastero di Luxeuil o di fare ai monaci doni
qualsiasi; tuttavia quella specie di blocco del monastero non poteva durare.
Colombano si reca dal re Teodorico che risiedeva allora a Epoisses, ma si
rifiuta di varcare la soglia del palazzo; Teodorico - un po'complessato,
diremmo oggi, a causa della sua cattiva condotta - gli fa portare un pasto.
Il
monaco irlandese afferra i piatti e li getta per terra: aveva un modo tutto suo
di intendere le regole della diplomazia.[18]
Questo
atto disarma, letteralmente, la collera della vecchia regina e del giovane re
che, almeno per un certo tempo, si sottomettono.
Per il Santo gli obblighi del
matrimonio erano sacri, quindi il sovrano in questo campo doveva dare il buon
esempio.
Ma Teodorico era infastidito dai rimproveri dell'asceta.
Le ostilità
non tardarono a risorgere, così Colombano finì per essere esiliato.
La
regina sapeva che si erano determinati dissensi tra il monaco irlandese e i
vescovi della Gallia, a causa
di
usi liturgici (il differente calcolo della Pasqua), tanto che il rancore
personale che nutriva contro
Colombano
trovava giustificazioni anche presso di loro, aumentando così i motivi per
allontanare il Santo irlandese.
Da Luxeuil a Nantes, la via dell’esilio
Nel 609 Colombano fu espulso da Luxeuil e fu
messo in carcere a Besançon,
da dove però, allentatasi la sorveglianza riuscì a fuggire per tornare a Luxeuil.
Nuovamente arrestato, nel 610 fu condotto in barca lungo la Loira verso Nantes, da dove
avrebbe dovuto ritornare per mare verso l'Irlanda con i suoi dodici compagni.
Ciò
che accade in seguito è molto significativo: la sua scorta, lui e i suoi
compagni sono condotti verso la Normandia passando per Chalon-sur-Saóne,
Autun, Avallon, Saint Morè e Auxerre; ma fin dall'inizio del viaggio aveva
luogo una nuova fondazione: un compagno del santo, di nome Desio, già anziano,
dovette fermarsi, perché non poteva assolutamente servirsi di un piede, Colombano gli permise di restare in romitaggio
nella valle dell'Oignon, in un luogo dove sarebbe sorta l'abbazia di Lure.
In seguito la scorta ricevette l'ordine di dirigersi verso Nevers e poi
di seguire la Loira fino a Nantes. Probabilmente poiché Brunechilde aveva
saputo quale affluenza di folle provocasse il passaggio di quei monaci; gli
ordini divennero severi e i soldati della scorta picchiarono e malmenarono i
monaci; tuttavia si menzionano ancora molti miracoli, tra l'altro, a Orléans,
la guarigione di un siriano cieco che, con sua moglie, aveva osato offrire cibo
ai prigionieri.
I
monaci ricompaiono a Tours, dove Colombano può passare una notte in
preghiera davanti alla tomba di san Martino; al vescovo del luogo che l'aveva
invitato alla sua tavola, predice la prossima rovina della famiglia reale che
lo aveva osteggiato.
Infine il piccolo gruppo giunge a Nantes; e li,
durante la sosta in attesa di un battello che lo trasporti sull'isola, ha luogo
un nuovo miracolo: a uno sventurato che era venuto a bussare alla loro porta,
Colombano aveva fatto dare tutto quello che restava loro, una misura di farina;
per i due giorni successivi i monaci dovettero digiunare; ma il terzo giorno
una dama di cui il biografo (Giona) ha tramandato il nome, Procula, invia loro
cento misure di vino, duecento di frumento e cento misure di orzo per preparare
la “cervogia” (birra)[19].
Ci
è rimasta una lettera scritta da Colombano ai suoi compagni di Luxeuil, da
Nantes; rispecchia perfettamente il dinamismo e l'imperturbabile coraggio di
quest'uomo:
" La pace sia con voi” comincia; e più avanti: "
I Vangeli ci offrono tutto quello che occorre per incoraggiarci; sono stati scritti
quasi soltanto per questo: per insegnare ai fedeli di Gesù crocifisso a
seguirlo portando la loro croce; i nostri pericoli sono numerosi... e il nemico
temibile, ma la ricompensa è gloriosa, e la libertà della nostra scelta palese.
Senza
avversario non c'è lotta, senza lotta non c'è corona... e senza libertà non c'è
dignità".
Raccomanda
loro di non avere "che un cuore e un'anima ", e prosegue: "
Sono rovinato perché ho voluto essere utile a tutti; ho creduto a tutti e sono
stato insensato: che voi siate meno imprudenti "; e conclude dando
loro la sua benedizione.[20]
Finalmente
una nave di mercanti che trafficava con le isole britanniche era giunta al
porto.
Colombano e i suoi compagni si imbarcarono; ma quasi subito il vascello
si trovò incagliato in un bassofondo; impiegò tre giorni a liberarsi, durante i
quali il nocchiero, probabilmente per alleggerirlo, obbligò i monaci a
scendere.
Una volta a terra, le guardie della scorta apprendono che ormai Brunechilde,
con Teodorico, è in guerra contro l'altro nipote, Teodeberto.
Non era
più il caso di preoccuparsi dei monaci: le guardie se la svignano, così
Colombano e i suoi possono andarsene indisturbati.
Ritorno in Neustria e Austrasia
Sfuggito al re burgundo, Colombano passò quindi in Neustria, verso Rouen, Soissons e Parigi.
Qui regnava Clotario III, che gli concesse la sua protezione.
Qui regnava Clotario III, che gli concesse la sua protezione.
Con ogni probabilità è allora
che lo lascia uno dei suoi compagni, Potenziano, il quale si dirige verso Coutances dove fonda a sua
volta un monastero.
Colombano pensa di approfittare delle circostanze per compiere
il pellegrinaggio a Roma che progettava da tanto tempo.
L’uomo di
Dio si dirige verso la città di Meaux e qui ha luogo un incontro indimenticabile nella
storia della Chiesa; si ferma da Cagnerico, padre del un suo discepolo,
Cagnoaldo, uomo importante nel regno di Borgogna, un leudo (in seguito si dirà
un signore); l’altra sua figlia Fara (Fare, Burgonfara), allora di dieci
anni circa, pare prestare un'attenzione specialissima ai discorsi di Colombano,
che prima di partire la benedice.
Ma nel
frattempo la situazione è cambiata, e il monaco viene richiamato in Austrasia,
con l'argomento che le regioni montuose della parte orientale del paese sono
ancora occupate da popolazioni semipagane. Colombano fa tappa a Poincy,
a Ussy e Metz, poi risale la valle del Reno passando per
Koblenz, Mainz e Strasbourg, e nei dintorni di Basilea (Basel)
uno dei suoi compagni, Ursicino, si stacca dal gruppo per vivere in romitaggio
nelle montagne del Giura sulle rive del Doubs; sarebbe questa l'origine
dell'abbazia di Sant'Ursanna (cantone di Berna).
Risalendo la Limmat, e poi il lago di Zurigo (Zurich), Colombano
e i compagni che gli restavano si fermarono a Tuggen, dove ci furono
scontri con la popolazione; una dei monaci, Gallo, gettò nel lago le statue
degli dei adorati dai contadini della regione; era meglio non prolungare un
soggiorno che diventava spiacevole.
Più lontano, ad Arbon (Turgovia), sulla riva meridionale del lago di Costanza, guidati da Villimaro, un prete che li aveva accolti con grande cordialità, i monaci si dirigono verso un castrum abbandonato, Breghenza, Bregenz; in passato vi era stata dedicata una cappella a sant'Aurelia; gli irlandesi si proposero fermamente di rimetterla in funzione.
Più lontano, ad Arbon (Turgovia), sulla riva meridionale del lago di Costanza, guidati da Villimaro, un prete che li aveva accolti con grande cordialità, i monaci si dirigono verso un castrum abbandonato, Breghenza, Bregenz; in passato vi era stata dedicata una cappella a sant'Aurelia; gli irlandesi si proposero fermamente di rimetterla in funzione.
Intanto si ridestava l'ostilità che il re Teodorico e sua nonna
Brunechilde (che nel frattempo avevano sconfitto Teodeberto) avevano dimostrato
a Colombano; questi si sentì nuovamente in pericolo; d'altronde i suoi più
prossimi vicini tedeschi apparivano mal disposti: si arrivò al punto di
uccidere due monaci accusati di disturbare le cacce del signore del posto.
Colombano capì che doveva ripartire, e il progetto del pellegrinaggio a Roma
gli apparve nuovamente come la soluzione; ma il suo discepolo Gallo gli chiese
di poter rimanere in quel paese, dove ben presto, grazie a lui, si sarebbe
elevata una grandiosa abbazia di San Gallo sempre presente nel mondo
moderno con la sua magnifica biblioteca e i suoi edifici sontuosi, ricostruiti
nel XVIII secolo.
Infine un’altra separazione quella del monaco Sigeberto, ha
come conseguenza la fondazione dell'abbazia di Santa Maria di Disentis nei
Grigioni, la quale conserva uno dei più bei soffitti romanici affrescati
che siano rimasti in Occidente.[22]
3.
PERIODO ITALIANO
Nel
612 Colombano valica le Alpi, (probabilmente al colle del Bernina, a
oltre 2300 metri
di altezza), per arrivare infine a Milano. Ha settantadue anni.
"Nella
corsa vertiginosa del tempo abbiamo raggiunto il triplo di sei anni olimpici
" scrive in versi latini a uno dei suoi discepoli,
e aggiunge: "Vivi, vivi lietamente, e non dimenticare la triste
vecchiaia ".[23]
Trova
accoglienza presso i Longobardi. Si mette però subito in lotta contro l’arianesimo[24]
diffusosi molto in questo periodo nell’Italia settentrionale.
Giunto a Pavia, Colombano
si pone sotto protezione del re longobardo Agilulfo, che
era tuttavia ariano, e della
regina Teodolinda,
invece profondamente cattolica.
Il santo
ottiene dai sovrani longobardi la
possibilità di creare sul suolo demaniale un nuovo centro di vita monastica.
Il
luogo, segnalato da un certo Giocondo, viene esaminato dalla stessa regina Teodolinda, salita sulla vetta del monte
Penice, la quale chiede al santo di dedicare alla Madonna la piccola
chiesetta in cima alla vetta, futuro santuario di Santa Maria.
L'area si
trovava nel cuore dell'Appennino in
una zona fertile e molto produttiva, dove abbondavano acque correnti e c'era
pesce in quantità. Nella zona si trovavano anche antiche terme e sorgenti, sia
termali che saline da cui si traeva il sale.
Giona scrive: “La
tradizione degli antichi denominava quel luogo “Bobium”, dal torrente che
scorre in quel luogo”.[25]
La
scelta del luogo ne faceva un avamposto religioso e politico controllato dal
regno longobardo verso le terre liguri, ancora bizantine.
Con il documento del 24 luglio del 613 che donava a Colombano il territorio
per fondarvi il nuovo monastero, vennero attribuiti a questo anche la metà dei
proventi delle saline del luogo, che appartenevano in precedenza al duca
Sundrarit. Colombano giunse a Bobbio nell'autunno del 614 con il proprio discepolo Attala,
riparò l'antica chiesa di San Pietro (situata dove ora vi è il castello malaspiniano) e vi
costruì attorno delle strutture in legno, che costituirono il primo nucleo
dell'abbazia di San Colombano.
Secondo il racconto di Giona, nonostante la presenza di una fitta boscaglia, che ostacolava il trasporto dei materiali da costruzione, san Colombano e i suoi avrebbero sollevato i tronchi come fuscelli, facendo il lavoro di trenta o quaranta uomini.[26]
Secondo il racconto di Giona, nonostante la presenza di una fitta boscaglia, che ostacolava il trasporto dei materiali da costruzione, san Colombano e i suoi avrebbero sollevato i tronchi come fuscelli, facendo il lavoro di trenta o quaranta uomini.[26]
Inoltre si tramanda anche la famosissima leggenda
dell'orso e del bue riprodotta sia nell'abbazia che in altri luoghi
colombaniani, essa racconta che un orso uscito dalla foresta si avventò verso
una coppia di buoi, che assieme ad un contadino trainavano un aratro nei campi,
uccidendone uno, ma Colombano avvertito da esso, parlò all'orso aggiogandolo e
ponendolo al posto del bue ucciso per finire di arare il terreno.
Nella quaresima del 615 Colombano si ritira nell'eremo, da lui fondato, di San Michele della Curiasca presso Coli, lasciando a Bobbio come suo vice Attala, e tornando al monastero solo alla domenica.
Nella quaresima del 615 Colombano si ritira nell'eremo, da lui fondato, di San Michele della Curiasca presso Coli, lasciando a Bobbio come suo vice Attala, e tornando al monastero solo alla domenica.
Qui
gli giunge la visita di Eustasio,
suo successore a Luxeuil, inviato dal re Clotario II,
il quale aveva nel frattempo riunito sotto il suo dominio i tre regni merovingi
precedentemente esistenti e aveva fatto perire tra supplizi la regina
Brunechilde, il monarca desiderava il suo ritorno in Francia.
Colombano però
fece riferire al re che non riteneva assolutamente possibile ritornare
indietro, lo pregava solamente di sostenere con il suo aiuto e la sua protezione
i suoi compagni che risiedevano a Luxeuil.
Cripta dell'Abbazia si San Colombano con la tomba del santo |
“Di poi il beato Colombano,
trascorso il giro di un anno dopo aver vissuto una vita santa nel sopraddetto
cenobio[27]
di Bobbio, rese al cielo la sua anima, sciolta dalle membra, il giorno 23
novembre 615. Se qualcuno volesse conoscere la sua attività e la sua opera,
la troverà nelle sue parole. I suoi resti sono sepolti in quel luogo, ove
conservano tanta potenza, resi illustri da tanti prodigi, sotto la guida di
Cristo…”
Così Giona termina la sua “Vita di San Colombano”.[28]
Come secondo abate del monastero gli succedette Attala (615-627). Le spoglie di San Colombano riposano nel sepolcro della cripta dell'abbazia insieme a quelle degli abati suoi successori: Attala, Bertulfo, Bobuleno e Cumiano e di altri diciotto monaci e di tre monache.
Come secondo abate del monastero gli succedette Attala (615-627). Le spoglie di San Colombano riposano nel sepolcro della cripta dell'abbazia insieme a quelle degli abati suoi successori: Attala, Bertulfo, Bobuleno e Cumiano e di altri diciotto monaci e di tre monache.
“La Vita di San Colombano” di Giona
Il libro di Giona dalla quale sono emerse le notizie più importanti e significative della vita del Santo, rimane un’ opera di grande pregio dell’alto medioevo, questo a testimoniare il notevole livello culturale che aveva raggiunto il monastero di Bobbio che rappresentava un faro di civiltà per la società di allora.
Da sottolineare in questo lavoro, come altri dello stesso periodo di genere agiografico[29], è l’interesse per la natura.
La descrizione del personaggio dotato di particolari virtù ed operatore di eccezionali imprese induce spesso l’agiografo a guardare con occhi più penetranti anche il mondo e l’ambiente in cui quello vive ed agisce.
Questo libro che è proprio all’inizio dell’agiografia monastica dell’alto medioevo dell’Occidente europeo si dimostra particolarmente sensibile verso i vari ambienti naturali con cui viene a contatto Colombano: la descrizione della terra d’Irlanda (sopra citata), il paesaggio del Giura e dei Vosgi, la terra e i campi, il raccolto delle messi e la fatica del disboscamento, la pioggia e le acque costituiscono, infatti elementi importanti nella descrizione della vita del Santo.[30]
Tutto questo arricchisce l’opera di Giona di qualità poetiche degne di rilievo per una letteratura antica che andrebbe maggiormente valorizzata.
Lo “scriptorium”
di Bobbio
La regola colombaniana, a differenza di
quella benedettina, fa obbligo al monaco di esercitarsi ogni giorno anche nel
campo culturale:
“… poiché ogni giorno è necessario alimentarsi onde poter
crescere, altrettanto ogni giorno è doveroso pregare, lavorare e leggere”.
Già
nei primi anni della fondazione, comincia ad operare uno “scriptorium”, un
gruppo di monaci incaricati di preparare e confezionare nuovi libri. Poco alla
volta si forma una preziosa biblioteca.
Vi confluiscono i codici portati dai
monaci, altri più antichi reperiti nell’area dell’Italia settentrionale con la
mediazione della corte longobarda e quelli prodotti dallo scrittorio locale.
Per tutto il secolo settimo e ottavo, lo “scriptorium” di Bobbio appare come il più attivo ed efficiente dell’Italia del Nord.
Per tutto il secolo settimo e ottavo, lo “scriptorium” di Bobbio appare come il più attivo ed efficiente dell’Italia del Nord.
Vi sono maestri
irlandesi: il loro influsso lo si riconosce nello stile della miniatura e nel
particolare sistema della abbreviature.
Una delle sue realizzazioni più
prestigiose è certamente quella del “Glossarium Bobiense”, una specie di enciclopedia già
nel IX secolo.
La
biblioteca cenobiale raggiunge già nel decimo secolo una consistenza
prodigiosa: più di 700 codici.
Se
si pensa che dei 150 manoscritti latini anteriori al VII secolo oggi
conservati, ben 25 appartengono alla biblioteca di Bobbio, forse è più facile
comprendere il ruolo fondamentale di questo monastero nella trasmissione della
cultura.[31]
Nei
secoli successivi piano a piano la biblioteca viene smantellata per acquisti,
donazioni, ma anche trafugamenti, nel 1720 restano solo 122 codici.
Nel
1801 per ordine delle autorità francesi (napoleoniche) il Convento viene
soppresso e vengono apposti i sigilli alla Biblioteca e all’archivio.
Il
6 maggio 1803, libri manoscritti e stampati, documenti e mobili
vengono messi all’asta e venduti per la somma di franchi 53 al “cittadino
Odoardo Raymond Buthler di Bobbio”, medico collezionista di origine irlandese. Il
12 maggio, debitamente registrato l’atto di vendita, per la povera Biblioteca
tutto era consumato…[32]
I
codici più importanti oggi li possiamo ritrovare in varie città: il famoso” K
55 con i Vangeli di S. Marco e S. Matteo” alla biblioteca Nazionale
Universitaria di Torino, il palinsesto[33] delle
Commedie di Plauto alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, il “Virgilio Medico”
alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, il “De Repubblica” di Cicerone alla
Biblioteca Vaticana di Roma e altri
dispersi in città europee.
Conclusione
Da
oltre mille anni il monastero di Bobbio ha trovato il suo spazio vitale nella
Val Trebbia.
Qui la comunità di san Colombano è divenuta presto un incisivo
punto d’irradiazione, di cui purtroppo sono in pratica scomparse le tracce
dalla memoria della storia italiana.
Per alcuni secoli, infatti, Bobbio è stato
un centro culturale di primaria importanza. In Italia e in tutta l’Europa non
temeva confronti.
E’ stato un crocevia di culture come poche altre fondazioni
monastiche: ha visto innestarsi nel territorio appenninico la cultura irlandese
e da qui ha esteso ovunque le sue relazioni culturali.
Attraverso spazi e
tempi, ha tenuto le fila di una profonda vitalità spirituale e di una
intramontabile curiosità umanistica.
Ha arricchito l’esperienza liturgica
padana con l’apporto dell’isola irlandese, ha aperto le porte della penisola
italica ai fermenti in atto nelle lontane terre d’oltre Manica.[34]
Pochi
centri medioevali hanno vissuto come Bobbio, secondo la famosa espressione di
Jean Leclercq, “il desiderio di D-i-o e l’amore delle lettere”.
Seguendo queste due tensioni, dal VI al X
secolo, l’ abbazia di Bobbio è stata un
centro di un’elaborazione culturale ampia e autonoma.
Perché è proprio da questa
sintesi, tra cultura umanistica e desiderio di Dio, che i monaci colombaniani
hanno espresso un cristianesimo caratterizzato da una spiccata componente ascetica
sempre accompagnata da una viva
intelligenza nella ricerca della conoscenza e del sapere, nell’arte, nella
poesia, nella filosofia e nella letteratura.
La presenza di
Colombano e dei suoi monaci dediti alla preghiera e curvi nello scriptorium
intenti a scrivere, sembra sentirsi ancora camminando per i lunghi corridoi
della grande abbazia che ancora oggi, agli occhi attenti, fa respirare quella
grande spiritualità e la notevole cultura che in questi luoghi si sono vissute.
INDICE
1. PERIODO IRLANDESE
- Formazione monastica a Bangor
2. PEREGRINATIO
- Sbarco in Gallia e primo
insediamento ad Annegray (La Voivre)
- Fondazione
di Luxeuil e Fontaines importanti centri monastici
- Contrasto con i re merovingi
- Da
Luxeuil a Nantes, la via dell’esilio
- Ritorno
in Neustria e Austrasia
3. PERIODO ITALIANO
- “La
Vita di San Colombano” di Giona
- Lo “scriptorium” di Bobbio
- Conclusione
[1]
Benedetto XVI – Udienza generale 11.06.2008
[2]
Regine Pernoud “La Vergine e i Santi nel Medioevo” ed Piemme 1994 – pag. 106
[3]
Clifford Hugh Lawrence “Il monachesimo medievale” ed. San Paolo 1993 – pag. 75
[4]
del colore del cielo
[5]
Giona “Vita di San Colombano” a cura di E.Cremona e M.Paramidani- Emiliana
Grafica – Piacenza 1965 – pag 6
[6]
M. Tosi- Introduzione alla Vita di San Colombano - Emiliana Grafica – Piacenza
1965 – pag. V
[7]
Significa la raccolta dei 150 salmi della Bibbia divisi in uno schema
settimanale per recitarli come preghiera
[8]
R. Pernoud op. cit. pag.107
[9]
Giona op. cit. pag.10
[10]
J. Leclercq (1911-1993) Monaco benedettino nato in Belgio, storico e profondo
conoscitore del Medioevo sia cristiano e non, appassionato divulgatore
dell’ideale monastico , è il fondatore della cosiddetta “teologia monastica” e
autore di numerosi studi tradotti in più lingue
[11]
Vita comunitaria dei monaci che seguono la medesima regola
[12]
S.Colombano “Istructiones” da Inos Biffi “La disciplina e l’amore. Profilo
spirituale di san Colombano” Jaca Book 2002
[13]
Fortificazione, castello
[14]
R. Pernoud op. cit. pag 111
[15]
R. Pernoud op. cit. pag.112
[16] Clifford Hugh Lawrence op. Cit. pag
78
[17]
Donne che vivevano come spose alla corte del re dandogli dei figli
[18]
Giona op. cit pag.34
[19]
Giona op.cit. pag. 46
[20]
R. Pernoud op. cit. pag. 116
[22]
R. Pernoud op. cit. pag 117
[23]
R. Pernoud op.cit. pag 118
[24]
arianesimo eresia sostenuta dal prete
alessandrino Ario (sec. IV), che negava la divinità di Cristo e la sua identità
di natura col Padre.
[25]
Giona op.cit. pag 58
[26]
Giona op. cit pag 59
[27]
Cenobio in greco significa “vita comune” qui è inteso come la comunità dei
monaci, il monastero
[28]
Giona op.cit. pag 60
[29]
agiografia è la letteratura riguardante la vita dei santi
[30]
Gregorio Penco “Il monachesimo fra spiritualità e cultura” Jaca Book 1991 pag
151
[31]
M. Tosi “Bobbio guida storica artistica e ambientale della città e dintorni”
Presso gli Archivi storici Bobiensi 1978 pag 17 - 18
[32]
Enrico Mandelli “Bobbio piccola guida storico-artistica” 1962 – pag 15
[33]
palinsesto (dal greco “palin psestos”, raschiato di nuovo) è un manoscritto su
pergamena che, dopo raschiamento per toglierne lo scritto originale, veniva
utilizzato per un nuovo testo.
[34]
Giacomo Baroffio nella presentazione di “Codici e Liturgia a Bobbio” di Leandra
Scappaticci – Libreria Editrice Vaticana 2008
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