giovedì 28 novembre 2024

Aurora Tila


E' passato più di un mese da quella terribile mattina del 25 ottobre.
 La mattina in cui Aurora ha perso la vita, cadendo dal settimo piano del palazzo di via IV Novembre dove viveva con la mamma Morena e la sorella maggiore Aurora Viktoria. Con l’accusa di omicidio volontario, si trova nel carcere minorile di Bologna il suo ex ragazzo di15 anni.


LA LETTERA della Dirigente scolastica del Liceo COLOMBINI di Piacenza

Carissimi studenti e studentesse del Liceo Colombini,

sono giorni di grande dolore e profonda tristezza per la nostra comunità scolastica. Di fronte alla prematura scomparsa di Aurora Tila, avvenuta in modo così tragico, siamo tutti sgomenti e smarriti. Ogni parola sembra banale e inutile al punto da sembrare persino fastidiosa. Perciò, spero che vogliate comprendere la difficoltà che in questo momento provo nello scrivervi queste poche parole, che sento però il dovere e il bisogno di rivolgervi, e che mi scuserete se non vi sembreranno adeguate o all’altezza delle vostre aspettative. Aurora era un’alunna della 1^ ESF, non aveva ancora compiuto quattordici anni, ed era quindi una delle studentesse più giovani della nostra scuola. Come quasi tutti i “primini”, era al Liceo Colombini solo da poche settimane: insegnanti e compagni avevano appena iniziato a conoscerla, e lei a conoscere loro; stava costruendo con alcuni le prime amicizie, quelle che nascono sui banchi di scuola che a volte ci accompagnano per tutta la vita. Aveva interessi, passioni, sogni, che non abbiamo potuto scoprire. Sapevamo poco di lei, ciò nonostante, Aurora ci mancherà. Ci mancherà perché ognuno di voi ragazze e ragazzi è per noi “un essere speciale” di cui avere cura, perché siete voi il centro della scuola, la ragione e il fine di tutto quello che pensiamo, progettiamo e realizziamo. E, quando dobbiamo affrontare una perdita come questa, la sofferenza che proviamo è davvero grande, per tutti. Aurora poi ci mancherà proprio perché non abbiamo avuto il tempo di aiutarla a realizzare i suoi progetti, di sostenerla e accompagnarla in un tratto importante del suo percorso di vita, come insegnanti, compagni di scuola e amici. In questi giorni i miei pensieri sono rivolti anche alla famiglia di Aurora, in particolare alla mamma, alla quale esprimo, a nome di tutta la scuola, vicinanza e cordoglio, con la speranza che l’affetto e la partecipazione di tante persone al dolore di questa perdita la aiutino a trovare la forza per affrontare un dolore così lacerante. Ci impegniamo con lei a non dimenticare Aurora e ad onorarne il ricordo con iniziative a cui tutti insieme penseremo. La morte di una ragazza o di un ragazzo è una sfida per tutti noi, perché con essa accade qualcosa che ci appare innaturale, inconcepibile, inaccettabile. A scuola vi insegniamo a sviluppare il senso critico, a trovare soluzioni a problemi, anche complessi, a cercare il perché delle cose; tuttavia, di fronte a questi fatti terribili anche noi adulti fatichiamo a trovare un significato, un senso, in ciò che è accaduto. Ma siamo educatori e in quanto tali abbiamo il dovere di non scoraggiarci e di invitare voi, ragazzi e ragazze del Colombini, a fare altrettanto: seppur sparpagliati tra tante sedi, siamo una comunità, che soprattutto in circostanze come queste deve ritrovare la propria unità e coesione nella volontà di condividere e nella determinazione a rinnovare ogni giorno l’impegno al rispetto reciproco, all’ascolto e all’aiuto di chiunque abbia bisogno. Il dolore ci porta istintivamente a chiuderci, ma è con l’apertura agli altri che il dolore può essere accolto e superato. Infine, mi rivolgo in particolare ai compagni di classe di Aurora, ai ragazzi e alle ragazze della 1^ESF. State affrontando un momento di prova, che sicuramente non avevate previsto quando immaginavate il vostro ingresso nella scuola superiore. Ne siamo consapevoli, perciò sappiate che vi sosterremo con tutte le risorse e in tutti modi possibili. I vostri insegnanti sono al vostro fianco, Vi invito a cogliere e a sfruttare gli aiuti che vi offriremo anche per imparare a conoscervi meglio e a costruire una classe accogliente, unita, collaborativa. Una classe in cui tutti stanno bene, e in cui sarebbe stata bene anche Aurora.

La Dirigente scolastica 

Monica ferri

sabato 23 novembre 2024

Il ricordo di Simran Kumar

 La 14enne è morta al Campus Agroalimentare Raineri Marcora, il 10 ottobre scorso, travolta dall'autobus.

Nel video la commemorazione con studenti e insegnanti.




giovedì 12 settembre 2024

GESU' Storico


Gesù storico nelle fonti pagane

Il documento più antico è una lettera (la n. 96) giunta a Roma fra il 111 e il 113, scritta dal governatore di Bitinia Plinio il Giovane all’imperatore Traiano.
Nella lettera Plinio il Giovane chiede istruzioni circa il comportamento da tenere nei confronti dei cristiani. Dopo aver illustrato i sistemi usati per far abiurare i cristiani e ricondurli al culto imperiale, il testo contiene interessanti informazioni circa il comportamento dei cristiani dell’Asia Minore. “D’altra parte, essi affermavano che tutta la loro colpa o il loro errore erano consistiti nell’abitudine di riunirsi in un determinato giorno, avanti l’alba, di cantare fra loro alternativamente un inno a Cristo, come a un dio…”. Di notevole interesse è la testimonianza dello storico romano Tacito. Questi fra il 115 e il 120, nei suo Annales (XV, 44), rievocando l’incendio di Roma del 64, parla dei cristiani e di Cristo. “Tuttavia, né per umani sforzi né per elargizioni del principe né per cerimonie propiziatrici dei numi perdeva credito l’infamante accusa per cui si credeva che l’incendio fosse stato comandato. Perciò, per tagliar corto alle pubbliche voci, Nerone inventò i colpevoli e sottopose a raffinatissime pene quelli che il popolo chiamava cristiani e che erano invisi per le loro nefandezze. Il loro nome veniva da Cristo, che sotto il regno di Tiberio era stato condannato al supplizio per ordine del procuratore Ponzio Pilato…” da Publio Cornelio Tacito, Annales. Verso il 120, un altro storico, Svetonio, nella sua Vita di Claudio accenna a Cristo e ricorda che: “i giudei, che tumultuavano continuamente per istigazione di Cristo, furono cacciati da Roma.” Il testo si riferisce al decreto di espulsione degli ebrei da Roma del 49-50 voluto dall’imperatore Claudio. Dell’avvenimento troviamo testimonianza anche negli Atti degli Apostoli (At 18, 2). Sembra che Svetonio, riportando la notizia dei tumulti all’interno della comunità degli ebrei di Roma, attribuisse a Gesù la causa dei disordini. Questa breve notizia vuole forse informare del fatto che all’interno della comunità ebraica di Roma alcuni affermavano che Gesù era il Messia e altri lo negavano e, quindi, della tensione fra ebrei e prima comunità cristiana.      Il fatto che Svetonio pensi che Cristo fosse a Roma e che non distingua fra cristiani ed ebrei è spiegabile con il fatto che scrive una settantina di anni dopo gli avvenimenti e dalla sua scarsa conoscenza del cristianesimo. Scrivendo di Nerone, Svetonio ritorna a parlare dei cristiani, definendoli «seguaci di una nuova e malefica setta». Esistono altre piccolissime tracce in alcuni scrittori del II secolo, come il filosofo Epitteto, l’imperatore Marco Aurelio, il retore Frontone e pochi altri.

Gesù storico nelle fonti ebraiche

Delle migliaia e migliaia di pagine del Talmud, un testo sacro dell’ebraismo, soltanto in una dozzina di passi è menzionato Gesù e quasi sempre in modo negativo. Emblematico questo brano tratto dal Talmud e risalente probabilmente al II secolo: “Riporta la tradizione: la vigilia di Pasqua è stato impiccato Gesù. Un araldo gli camminò dinanzi per quaranta giorni, dicendo: “sarà lapidato perché ha praticato la magia e ha ingannato Israele. Chi conosce la maniera di difenderlo venga a testimoniare in suo favore”. Ma non si trovò nessuno che testimoniasse in suo favore, e quindi fu impiccato alla vigilia di Pasqua.” Di tono totalmente diverso è la breve testimonianza dello storico ebreo Giuseppe Flavio nato nel 37 d.C., quindi poco dopo la morte di Gesù di Nazaret. Nella sua opera Le antichità giudaiche gli dedica un solo paragrafo: “Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti giudei e molti greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino a oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti cristiani.” da Giuseppe Flavio, Le antichità giudaiche, vol. II 

Gesù storico nei Vangeli

  • I Vangeli non sono stati scritti da Gesù, ma sono nati dalle fede e dalla riflessione delle prime comunità cristiane.
  • Occorre prendere atto della diversità dei Vangeli, in particolare della differenza tra i Vangeli sinottici e il Vangelo di Giovanni. I Vangeli sinottici sono i Vangeli scritti da Marco, da Matteo e da Luca e sono detti sinottici perché è possibile leggerli sinotticamente, cioè in parallelo su tre colonne.
  • I Vangeli non sono delle biografie.

Eppure per molti secoli quello che dicevano i Vangeli era di fatto avvenuto così come era stato narrato. Solo dal XVIII secolo si pose quella che può essere definita la moderna questione del Gesù storico. Il primo a porre il problema del Gesù storico fu il filosofo e scrittore tedesco illuminista, seguace del deismoHermann Samuel Reimarus (1694-1768). La sua tesi è semplice: Il Gesù della storia non corrisponde al Gesù dei Vangeli. Il Gesù storico fu un liberatore politico che fallì nel suo intento. I discepoli non rassegnandosi al suo fallimento, costruirono con invenzioni e manipolazioni della realtà il Cristo dei cristiani. Ad una conclusione simile pervenne il teologo tedesco Rudolf Bultmann (1884-1976). Per Bultmann non è il Gesù storico a essere rappresentato nei Vangeli, ma la fede della prima Chiesa. Noi possiamo venire a contatto solo con il Cristo annunciato dalla comunità cristiana che ci è stato trasmesso sotto forma di discorso mitologico. Il nostro sforzo deve essere quello di demitizzare, cioè di tradurre il linguaggio mitico in un linguaggio moderno, comprensibile per l’uomo e il credente di oggi.




martedì 23 luglio 2024

BIBBIA: una sintesi chiara


La Bibbia è il libro sacro degli ebrei e dei cristiani.

Gli Ebrei chiamano la Bibbia TaNaK, dalle iniziali delle sue tre sezioni:T è la Torah, ossia i primi cinque libri, chiamati anche Pentateuco – Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, i quali non sono considerati ispirati da Dio ma rivelati da Dio a Mosè sul monte Sinai;
N sono i Mevi’im, i Libri dei Profeti;
K sono i Ketuvim, gli Scritti, cioè tutti gli altri libri.
Questo corpo di scritture è in ebraico, con alcune piccole parti in aramaico, un’altra lingua semitica.
“Bibbia”, invece, non è un termine di origine ebraica, ma greca. Il nome “Bibbia”, infatti, viene dal greco ta biblia “i libri”, cioè i libri per eccellenza (perché sacri); è una denominazione nata ad Alessandria d’Egitto nel III secolo a.C. Qui, sotto la dinastia dei re Tolomei, in un clima di grande fervore intellettuale e di incontro fra culture diverse, viveva una folta comunità ebraica, che probabilmente non parlava più correntemente la lingua originaria e aveva bisogno di una traduzione in greco (la lingua “internazionale” di quel tempo) dei propri libri sacri. La leggenda attribuisce questa traduzione, nota come Bibbia dei Settanta, a 72 dotti ebrei, sei per ogni tribù di Israele.
La Bibbia dei Settanta è tuttora la versione liturgica dell’Antico Testamento usata dalla Chiesa ortodossa orientale di tradizione greca. La versione in lingua latina (lingua ufficiale dell’Impero romano d’Occidente) fu operata direttamente dal testo ebraico da san Girolamo su incarico di papa Damaso I.
San Girolamo non tradusse alla lettera gli originali, ma si preoccupò di renderne il senso. Il nome Vulgata con cui è indicata questa traduzione è dovuto alla frase latina vulgata editio (“edizione per il popolo”). Essa fu infatti scritta nel latino del V secolo d.C. e non nel latino classico perché fosse accessibile e più facile da capire dai chierici.
La Vulgata fu dichiarata autentica, cioè autorevole sul piano dottrinale, dal Concilio di Trento. Ha rappresentato il testo ufficiale della Chiesa e della liturgia cattolica fino al secolo scorso, quando per l’Antico Testamento si è cominciato a utilizzare direttamente il testo masoretico (la Bibbia in lingua ebraica) e per il Nuovo Testamento direttamente i testi greci.
Dopo il Concilio Vaticano II le varie Chiese cattoliche nazionali hanno elaborato e adottato nel culto liturgico versioni della Bibbia nelle varie lingue nazionali.
Antico e Nuovo Testamento
La Bibbia è costituita dall’Antico Testamento, comprendente i libri redatti prima di Gesù, e dal Nuovo Testamento, comprendente i libri che riguardano la predicazione di Gesù e degli Apostoli.
L’Antico Testamento è un testo sacro sia per gli Ebrei sia per i Cristiani, il Nuovo Testamento solo per i Cristiani.
L’Antico Testamento, dunque, è comune a Ebrei e Cristiani, ma con alcune varianti. Infatti il canone ebraico (per “canone” s’intende l’elenco dei libri che sono stati riconosciuti dai credenti come autentica parola di Dio, cioè ispirati) comprende solo i 39 libri dell’Antico Testamento scritti in ebraico; il canone cattolico comprende 46 libri per l’Antico Testamento, 27 per il Nuovo Testamento.
I libri esclusi dal canone sono detti apocrifi.
I 46 Libri dell’Antico Testamento secondo il canone cattolico sono così suddivisi:i 5 Libri del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio)
i 16 Libri Storici
i 7 Libri Poetici e Sapienziali
i 18 Libri Profetici
I 39 Libri del canone ebraico comprendono:i 5 Libri della Torah
i 21 Libri de “I Profeti”
i 13 Libri degli “Scritti”
Il canone del Nuovo Testamento comprende:
4 Vangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni)
gli Atti degli Apostoli
le Lettere degli Apostoli
l’Apocalisse

domenica 7 aprile 2024

La Chiesa nella Piacenza medievale


Piacenza, posizionata strategicamente all'incrocio di antiche strade e lambita dall'arteria fluviale del Po, emergeva nell'Europa medievale come un vitale centro di passaggio e di connessione. Questa città, vivace crogiolo di attività economiche e commerciali, fu testimone di un'impetuosa attività edilizia che interessò tanto i grandi cantieri civili quanto quelli religiosi. Le sapienti mani di maestri come Wiligelmo e Nicolò, due tra i più celebrati scultori romanici, contribuirono a plasmare il volto urbanistico di Piacenza, arricchendolo di opere d'arte di inestimabile valore.

La città medievale vanta una miriade di chiese e monumenti che delineano il suo profilo, tra i quali spicca la maestosa cattedrale, splendido emblema del romanico emiliano. Iniziata nel 1122, la costruzione si protrasse fino al 1341, risultando in un edificio di straordinaria imponenza. La facciata, ornata da protiri e decorazioni che narrano episodi della vita di Cristo, testimonia l'abilità e la creatività degli artisti del tempo. All'interno, le navate racchiudono bassorilievi che celebrano le corporazioni artigiane, i paratici, fulcro dell'economia cittadina.

Altra perla della spiritualità piacentina è la chiesa di San Giovanni in Canale. Fondata nel XIII secolo dai Domenicani, essa rappresenta un importante testimone della vita conventuale dell'epoca, nonché della funzione inquisitoriale che l'ordine vi esercitò fino alla soppressione nel 1797. L'interno, arricchito nei secoli da stucchi, dorature e opere d'arte come i monumenti sepolcrali della famiglia Scotti e la cappella del Rosario, narra la storia di una comunità profondamente legata alla propria fede.

Il Gotico, palazzo comunale eretto nel 1281, pur non essendo un edificio religioso, riflette l'influenza ecclesiastica nel tessuto sociale e culturale di Piacenza. La sua architettura, con il loggiato in marmo rosa di Verona e il cotto rosso del piano superiore, testimonia l'importanza del mecenatismo laico in un'epoca dominata dal sacro.

La chiesa di San Francesco, edificata tra il 1278 e il 1365 in stile gotico, incanta per l'ampiezza delle sue navate e la ricchezza degli affreschi, tra cui emerge lo splendido Giudizio Universale. Anche in questo caso, l'arte si fa veicolo di messaggi spirituali, educando i fedeli attraverso le immagini.

Queste meraviglie architettoniche e artistiche, insieme a molte altre disseminate nella città, testimoniano l'importanza che la Chiesa ebbe nella Piacenza medievale non solo come istituzione religiosa, ma anche come promotrice di cultura, arte e bellezza. L'eredità di quel periodo brilla ancora oggi, invitando alla scoperta di un passato ricco di fascino e spiritualità.