giovedì 30 giugno 2016

SPACCATO in DUE. L'alfabeto di GIAN

“Il libro mi racconta con verità… E’ una storia di dolore, ma anche di fede, come dovrebbe essere la storia di tutti quanti.
Le esperienze raccontate hanno permesso a me di presentarmi così come sono, anche molto debole in questo momento, ma molto forte in altre situazioni.
Tutto quello che ho imparato nella malattia viene qui condiviso con chi vorrà leggerlo.
Auguro a tutti di leggere questo testo e meditarlo. Lettera per lettera.
Contiene la nostra vita in tutta la sua lunghezza.
In fondo – come ho detto con mio fratello – “Noi siamo fatti per il cielo. Per sempre: Per l’eternità.
Allora, buona lettura!
In questo libro mi ritroverai, in ogni pagina. E io troverò te.
Sento che, in Dio, siamo già amici".
Di Gianluca Firetti possiamo dire che, come ci racconta la copertina del libro, è stato un perito agrario, calciatore, che nel dicembre 2012, a 18 anni si è ammalato di tumore.
Tutto nella sua vita è cambiato, ma ha accettato la sua situazione e, in queste pagine, racconta se stesso, mostrando come, nella lotta, si diventa pienamente uomini.
Muore il 30 gennaio 2015, nel giorno in cui giungono dalla tipografia le prime del suo libro.
CONTINUA





mercoledì 29 giugno 2016

Ciao José


Ricordo, nella mia esperienza di educatore in una casa accoglienza di malati AIDS, il volto esile e fragile di una ragazza che si chiamava Maria Josè.
Non so più che fine abbia fatto, avevo avuto notizia che si era allontanata volontariamente dalla Comunità e penso sia stata inghiottita di nuovo dal mondo delle dipendenze.
Una giovane dotata anche di un piglio artistico.  Mi ha lasciato infatti un suo disegno qui pubblicato che esprime tutta la sua personalità.
In questa composizione artistica emerge una luce che vuole, a mio avviso, abbattere tanti spettri di paure e angosce  che si nascondono dentro di noi.
Penso che lei avvertiva la forza di questa luce, ma non ha saputo e voluto accoglierla.
Riporto il suo scritto che mi ha dedicato quando ho lasciato la Casa Accoglienza per dedicarmi all’insegnamento nella Scuola.
Ciao Riccardo, chi ti scrive è una ragazza forse un po’ matta, che ha perso la via e la vita…
Ti ho conosciuto qui, in un posto dove devo ricercare me stessa.
Le tue parole mi sono state di aiuto, con te mi sono trovata molto bene, mi dispiace molto che te ne vai, ma forse la vita ha deciso così…
Mi fa molta tristezza che tu vada, ma forse l’insegnamento è la tua vita.
Spero che ti ricorderai di noi, per me è stata una bella esperienza conoscerti, mi lasci comunque qualcosa nel cuore.
Non dimenticarti di noi, ti auguro una vita felice e io spero di riuscire nella mia. Mi mancherai molto.
Con affetto José.
Ritrovando questo scritto, a distanza di anni, ho provato rammarico perché queste parole ci ricordano tutte le persone fragili di cui spesso ci dimentichiamo.
Si tratta di  vissuti umani che si portano dentro profonde lacerazioni, esperienze difficili e drammatiche.
Spesso ci viene voglia di dire che se la sono cercata loro quella vita… Ma non è possibile liquidare così le sofferenze dell’umanità. Il Giubileo della Misericordia di Papa Francesco ci invita a dare perdono ai più lontani e dimenticati.
Non so più dove sia Maria José, ma stasera ritrovando questo  suo scritto la ricordo con affetto e tenerezza. Le sue parole e il suo disegno, che esprimono una ricerca di luce, mi mettono  nel cuore tanta tristezza  e malinconia per non essermi più ricordato di lei.
José, pur nell’esperienza della malattia, era una persona solare che anche nella sua frase di saluto finale fa emergere il calore riposto in ogni cuore.
Con le sue stesse parole voglio affidarmi ad una speranza:
ci sarà un sole che risplenderà ancora nelle nostre vite e che ci riscalderà
 Dovunque tu sia: ciao José


domenica 12 giugno 2016

Cos'è la morte? La risposta di una bambina che ha commosso il mondo

Come oncologo con 29 anni di esperienza professionale, posso affermare di essere cresciuto e cambiato a causa dei drammi vissuti dai miei pazienti. Non conosciamo la nostra reale dimensione fino a quando, in mezzo alle avversità, non scopriamo di essere capaci di andare molto più in là.
Ricordo con emozione l’Ospedale Oncologico di Pernambuco, dove ho mosso i primi passi come professionista. Ho iniziato a frequentare l’infermeria infantile e mi sono innamorato dell’oncopediatria.
Ho assistito al dramma dei miei pazienti, piccole vittime innocenti del cancro. Con la nascita della mia prima figlia, ho cominciato a sentirmi a disagio vedendo la sofferenza dei bambini. Fino al giorno in cui un angelo è passato accanto a me!
Vedo quell’angelo nelle sembianze di una bambina di 11 anni, spossata da due lunghi anni di trattamenti diversi, manipolazioni, iniezioni e tutti i problemi che comportano i programmi chimici e la radioterapia. Ma non ho mai visto cedere quel piccolo angelo. L’ho vista piangere molte volte; ho visto anche la paura nei suoi occhi, ma è umano!
Un giorno sono arrivato in ospedale presto e ho trovato il mio angioletto solo nella stanza. Ho chiesto dove fosse la sua mamma. Ancora oggi non riesco a raccontare la risposta che mi diede senza emozionarmi profondamente.
“A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio. Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!”
“Cosa rappresenta la morte per te, tesoro?”, le chiesi.
“Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero? (Mi sono ricordato delle mie figlie, che all’epoca avevano 6 e 2 anni, e con loro succedeva proprio questo)”.
“È così. Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!”
Rimasi sbalordito, non sapendo cosa dire. Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina.
“E la mia mamma avrà nostalgia”, aggiunse.
Emozionato, trattenendo a stento le lacrime, chiesi: “E cos’è la nostalgia per te, tesoro?”
“La nostalgia è l’amore che rimane!”
Oggi, a 53 anni, sfido chiunque a dare una definizione migliore, più diretta e più semplice della parola “nostalgia”: è l’amore che rimane!
Il mio angioletto se ne è andato già molti anni fa, ma mi ha lasciato una grande lezione che mi ha aiutato a migliorare la mia vita, a cercare di essere più umano e più affettuoso con i miei pazienti, a ripensare ai miei valori. Quando scende la notte, se il cielo è limpido e vedo una stella la chiamo il “mio angelo”, che brilla e risplende in cielo.
Immagino che nella sua nuova ed eterna casa sia una stella folgorante.
Grazie, angioletto, per la vita che ho avuto, per le lezioni che mi hai insegnato, per l’aiuto che mi hai dato. Che bello che esista la nostalgia! L’amore che è rimasto è eterno.

(Dr. Rogério Brandão, oncologo)

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]



domenica 5 giugno 2016

Riscoprire Cristo a partire dall’ebraismo


Trent’anni fa la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma. 
L’imprenditore Squeri: la mia bisnonna Mariagrazia Vigevani faceva parte della Comunità ebraica di Cortemaggiore

"Siete i nostri fratelli maggiori”: parole storiche quelle pronunciate nell’aprile 1986 da Giovanni Paolo II nella visita alla sinagoga di Roma, confermate poi dai suoi successori, Benedetto XVI e Francesco. Il cristianesimo è strettamente legato all’ebraismo. “Io ho riscoperto la fede cristiana grazie all’ebraismo – racconta l’imprenditore piacentino Dario Squeri, alla guida della Steriltom di Casaliggio, azienda di trasformazione del pomodoro che esporta in tutto il mondo -. La mia bisnonna, Mariagrazia Vigevani, era di origine ebrea, così mia nonna e poi mamma. L’origine ebraica si trasmette attraverso la madre”.
La bisnonna apparteneva alla comunità ebraica di Cortemaggiore, nata nel ’500 dopo l’espulsione, da parte dei Farnese, degli ebrei dalla città di Piacenza. La comunità ebraica trovò ospitalità nelle terre dei Pallavicino”. Da alcuni anni Dario Squeri è in contatto, fra l’altro, con la comunità ebraica di Roma che è la più antica della diaspora.
Gesù, una figura sconvolgente
“Gesù anche per un ebreo – sottolinea Squeri - è una figura sconvolgente; guardandolo con gli occhi dell’Antico Testamento, ne diventa l’espressione più grande e più forte”.
“La condanna di Cristo, da parte di Israele, emerge soprattutto dal Sinedrio dove dominavano i Sadducei, legati ai romani: non mettevano in discussione la legge scritta e non credevano nella vita
Dario Squeri
eterna. Un secolo prima di Cristo gli Esseni avevano invece aperto una nuova strada in
contrapposizione alla concezione rigida della Torah. Dagli Esseni nascono i Farisei, che a mio parere vanno in un certo qual modo riabilitati. I farisei cercano uno sviluppo dell’ebraismo, riflettendo sulla Legge e si contrappongono al potere sacerdotale e al Sinedrio. I Sadducei sono i discendenti di Aronne e rappresentanti delle famiglie più ricche. I farisei invece provenivano da un ceto più povero ed erano più aperti di mentalità. Gesù discute con loro e questo confronto fa nascere pagine stupende del Vangelo.
“A promuovere la condanna di Cristo – puntualizza Squeri - non è il mondo farisaico, tanto meno quello romano, ma i Sadducei che non volevano nessuna modifica dell’ordine costituito. Cristo non è condannato perché faceva miracoli, neanche per le Beatitudini, ma per aver affermato di essere «Figlio dell’uomo », cioè per aver detto che Dio si è fatto uomo e che in Lui l’uomo diventa Dio. Questa cosa risultava devastante per il mondo sadduceo e per il Sinedrio perché significava la loro fine, la fine del loro potere e la fine anche del Tempio. Gesù non è un rivoluzionario politico, ma è un rivoluzionario dello spirito che sconvolge sul piano sociale e apre la Torah ad una nuova dimensione”.
La Torah, un corpo vivente
“La Torah, l’insegnamento della volontà di Dio , viene fatta risalire a Mosè e si struttura storicamente dopo il ritorno dall’esilio a Babilonia verso il 520. La classe sacerdotale del popolo s’impegna, insieme ad Esdra, per evitare il disperdersi della tradizione orale, a trascrivere gli antichi racconti. Mentre si ricostituisce il Tempio di Gerusalemme, i sacerdoti iniziano così la stesura della Torah. Essa rappresenta per l’Ebraismo un corpo vivente, la Parola di Dio che si manifesta all’uomo. Così viva che quando si legge la Torah al sabato nella sinagoga, per rispetto, nell’indicare i versetti da leggere, non si usa la mano, ma lo Yad, una piccola mano d’argento: così non si tocca fisicamente il rotolo della Scrittura. La Torah non può mai essere stracciata; anche quando viene lacerata per il grande uso liturgico nella lettura del libro, viene sepolta come se fosse un vero corpo vivente in un’area della sinagoga stessa, chiamata Ghenizah”.

Gesù, un ponte tra le religioni
Gli scontri e l’alta tensione oggi sul piano internazionale non dipingono un orizzonte roseo davanti all’umanità. “Cristo può essere il punto di contatto per costruire la pace: Gesù è al centro del cristianesimo, è legato all’ebraismo e come profeta si trova anche nel mondo islamico. È Lui il ponte tra questi mondi che sembrano tanto lontani. Sarà un cammino lungo e faticoso, terribile, ma riuscire a ricollocare la figura di Cristo come unificante, come il Messia che riunisce le grandi religioni monoteiste, sarà la più grande rivoluzione della storia. Noi cristiani ci siamo, in un certo senso, appropriati troppo di Cristo, staccandolo dalla sua origine ebraica”.
Una tradizione in movimento
“La Torah ha sviluppato una parte legislativa, la Alakah, i 613 precetti. Di questi, 248 sono precetti positivi («devi fare…»), e 365 sono negativi («non devi…»). Accanto all’Alakah, la legge scritta, c’è l’Haggadah, la parte narrativa della Legge, basata sul racconto. Su queste tradizioni nasce la Misnah è il primo nucleo del Talmud e della Gemarah (che significa completamento). Nei secoli – prosegue Squeri - si sono alternati nell’ebraismo anima precettistica e anima mistica. Oggi il mondo ebraico è estremamente frastagliato al suo interno. Gli ortodossi, ad esempio, non accettano la donna rabbino, sulle leggi del sabato sono molto rigorosi, vietano di andare in macchina, di usare il telefono, mentre la parte riformista ha assimilato molti aspetti della civiltà moderna anche nella tradizione del sabato”.

Davide Maloberti Riccardo Tonna
Da "Il Nuovo Giornale del 27/05/16