mercoledì 30 novembre 2016

La testimonianza di vita di un giovane: Nicolò Govoni

Mi chiamo Nicolò Govoni, ho 23 anni, sono originario di Cremona, ma vivo in India da due anni, dove studio giornalismo. Mi sono trasferito qui per continuare una missione di volontariato intrapresa ormai tre anni orsono presso Dayavu Home, un piccolo orfanotrofio situato in Tamil Nadu, uno degli stati più poveri dell’India meridionale. Questa decisione ha cambiato per sempre la mia vita.

Amo: leggere, fare esperienza di ogni tipo, avere ragione ed essere contraddetto.
Disdegno: le melanzane, le menzogne e l’ignavia.
Desidero avere un impatto positivo sul mondo


Il libro di Nicolò è stato scritto per aiutare  i bambini dell’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home in India protagonisti del romanzo.


‘Uno’ è il sogno di quando ero bambino.
Il sogno di quando perdevo i denti da latte e gli adulti mi chiedevano: ‘Cosa vuoi fare da grande?’ E io, con loro sorpresa, anziché il cowboy, l’astronauta o il calciatore, rispondevo: ‘Lo scrittore!’
‘Uno’ è il sogno di quando ero ragazzino, e i genitori dei miei compagni di scuola non volevano che i figli giocassero con me, perché ero diverso.
‘Uno’ è il sogno di un adolescente che sfuggiva alla solitudine rifugiandosi nei libri. Scendeva le scale di cellulosa, si chiudeva la copertina alle spalle come fosse una porta blindata, e lì si chiedeva: ‘Ma chi sono io?’
Solo che poi il sogno si spegne. Come una lucciola. Se la stringi troppo nel palmo della mano la sua luce palpita, e infine svanisce. Muta. Sepolta.
‘Uno’, infine, smise di essere il mio sogno. E io smisi di scrivere.
Sono stato bocciato, due volte. Ho avuto problemi con la legge, e me la sono vista brutta. Ho litigato con ogni singolo membro della mia famiglia, e ci siamo detti il peggio, ancora e ancora. Ho avuto problemi con i miei coetanei. Ho iniziato a vedere uno psicologo.
E mi sono innamorato. Un amore dolce, metallico, ossessivo.
Ero spezzato, con quell’ingenuità di cui solo gli adolescenti sono capaci.
Avevo vent’anni, e non ne potevo più di me stesso.

Decisi di partire.
Per far fronte alla critica condizione economica famigliare vendetti tutto quello che avevo in camera: scarpe, camicie, videogiochi, libri e fumetti, maglioni, giocattoli, orologi.
Un giorno di marzo, circondato dagli amici più cari, comprai alla cieca e di nascosto un biglietto aereo per l’India. Poi decisi di unirmi a un progetto di volontariato internazionale che mi spedì in un piccolo orfanotrofio del Sud.
A vent’anni, insoddisfatto e asfissiato dalla realtà che mi circondava, spinto da questo impulso a scoprire il mondo con i miei occhi, partii.
Quel giorno ricominciai a scrivere...



 C O N T I N U A! sul sito di Nicolò








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martedì 19 luglio 2016

La mia battaglia per l'Africa

Parla il medico piacentino Francesca Lipeti. Dal 2015 è al lavoro in una zona di confine tra Kenya e Tanzania. Gli inizi nel 1994.

Dalla metà degli anni ’90 è al lavoro in Africa, prima in Kenya tra i Masai a Lengesim, nella struttura sanitaria avviata da mons. Domenico Pozzi, dal 2015 più a Sud, verso il confine con la Tanzania, a Ilbissil, a 150 km dalla capitale Nairobi, per dar vita a un nuovo centro di salute per i più poveri.
È instancabile l’opera del medico piacentino Francesca Lipeti.
“Ilbissil - racconta al telefono Francesca - è una cittadina di confine che si sta sviluppando molto rapidamente. Ha due grandi mercati del bestiame ed è raggiungibile grazie ad una strada asfaltata.
Vi convivono più etnie, religioni e culture diverse.
È un lungo andirivieni dalla Tanzania, il commercio è molto sviluppato e si trova facilmente lavoro.
Di fatto, però, molti vivono alla giornata: qui non arrivano neanche gli aiuti del Governo e quelli internazionali.
L’area urbana conta circa 8mila persone, ma con il circondario si arriva anche a 100mila abitanti.
Sul piano religioso, oltre ai cattolici, che però non hanno un sacerdote presente stabilmente, vi sono i pentecostali e gli anglicani”.
VERSO UNA ZONA DI CONFINE
Come sei arrivata in questa nuova realtà?
Dopo l’esperienza di Lengesim, che porto sempre nel mio cuore, avrei potuto rientrare in Italia o collegarmi all’ONU o all’UNICEF.
Non volevo però perdere l’esperienza vissuta in Kenia; sarei rimasta nella savana, ma non so perché, ad un certo punto, ho avvertito questo invito ad andare verso una città.
Mi è stato consigliato di non vivere proprio al confine tra due Stati; si tratta di solito di zone molto rischiose per il terrorismo e i conflitti, e quindi molto instabili.
Alla fine sono capitata qui, ho rimediato due stanzette in una clinica, che potevano essere sistemate: era il posto adatto a me.
— Ora di cosa ti occupi? 
Sono in un ambulatorio in periferia, tra le baracche, e mi occupo sostanzialmente di medicina di base con tante vaccinazioni.
Essendo zona di passaggio, passano anche le più varie malattie.
A livello sanitario la città è servita da un centro di salute del Governo, ma il personale è scarso, le medicine non ci sono, per cui attualmente non si può fare tanto.
Non sono appoggiata a nessun ospedale, lavoro sostanzialmente da sola, ho un aiutante che si occupa della farmacia, una ragazza che fa le pulizie e un guardiano; in tutto, uno staff di quattro persone.
E ho un gruppo di amici del luogo che mi aiutano dal punto di vista amministrativo nei contatti con il governo, nel rinnovo delle licenze, nell’approvvigionamento di medicinali.
— Non sei quindi legata a nessuna organizzazione nella tua opera…
No, mi sono, per così dire, messa in gioco da sola.
Ho voluto misurare le mie capacità.
Mi sono dovuta reinventare: da un punto di vista medico ero abituata ad un certo tipo di malattie e conoscevo bene i ritmi e le caratteristiche del luogo precedente.; ora ho cambiato modo di lavorare e sto imparando cose nuove.
A Ilbissil la situazione sociale non è facile: la gente che arriva dai villaggi per cercare lavoro, perde le proprie radici, la propria identità culturale e in questo guazzabuglio non è facile orientarsi.
Ci sono situazioni di disagio, persone che si sentono smarrite con un forte senso di frustrazione: sono state catapultate in una realtà più individualista di quella dei loro villaggi di origine.
I PROGETTI IN CANTIERE
— Guardiamo allora al futuro: che progetti hai?
Prima di tutto, voglio conoscere bene la situazione e le persone.
Una volta che stabilisci rapporti significativi, si potrà essere più incisivi negli interventi. Concretamente ci terrei a rafforzare il laboratorio, perché più fai analisi, meglio si possono curare le persone a cui si evita di andare in ospedali lontani, facendo loro risparmiare tempo e denaro.
Poi, vorrei creare un centro per i giovani, dove possano incontrarsi e insegnare loro un po’ di informatica.
Un’altra idea è un progetto per le persone denutrite che, a causa dell’AIDS o perché povere, o per malattie gravi (tumori, tubercolosi), non possono procurarsi da mangiare in maniera adeguata.
In questa missione sono sostenuta dall’associazione piacentina “L’albero di Yoshua”, che è il nome biblico di Giosuè in lingua Masai.
Ci ispiriamo al Giosuè della Sacra Scrittura, una figura straordinaria nel seguire il Signore e nel condurre il popolo di Israele: colui che entra nella Terra promessa e che ha Dio al suo fianco. L’associazione è formata da persone che mi hanno sempre aiutato; il presidente è il commercialista Leonardo Biolchi.
— L’Africa è il continente della speranza, ma è anche schiacciato dalle guerre, dall’ISIS… Che cosa insegna l’Africa al mondo?”
L’importanza dei rapporti umani, dell’essere più dell’avere. Noi con i nostri modelli televisivi e pubblicitari stiamo imponendo al popolo africano un altro modo di vivere, che è la logica dell’avere e del possesso. Invece l’Africa, che non deve perdere la sua identità, ci insegna il senso di comunità, l’aiuto reciproco e che i rapporti interpersonali sono fondamentali.
— Tu non hai mai paura? 
Non ho paura, anche se questo luogo è molto meno sicuro di dove fossi prima.
Vi è instabilità sociale, vi sono furti, violenze, liti e contese.
Poi il Kenya è esposto a fenomeni di terrorismo; confina per buona parte con la Somalia che non ha un governo stabile da più di trent’anni ed è sempre scossa da una guerra civile.
Alcune frange terroristiche, provenienti da queste zone, fanno raid contro la popolazione del Kenya con attentati cruenti che mietono molte vittime.
I motivi per aver paura ci sono, ma io continuo con determinazione questo lavoro.

Davide Maloberti - Riccardo Tonna da Il Nuovo Giornale del 17/06/16


lunedì 11 luglio 2016

Commento al Vangelo di Matteo e al salmo 84

"Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccider l'anima..." Mt 10,28


"Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annunzia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con tutto il cuore." salmo 84









lunedì 4 luglio 2016

Il teologo Basilio Petrà e lo sguardo verso la Chiesa Ortodossa

E’ un mondo che in parte non riusciamo a cogliere fino in fondo, ma con il quale i papi, da Paolo VI in poi, cercano di aprire un dialogo costruttivo.
Stiamo parlando del mondo ortodosso, che a Creta a fine giugno ha vissuto il suo primo Concilio.
Ne parliamo con don Basilio Petrà, sacerdote di Prato, intervenuto nelle scorse settimane al convegno nazionale dal SAE al Centro pastorale Bellotta di Pontenure.
— Don Basilio, la Chiesa respira con due polmoni, l’Oriente e l’Occidente. Lei, che è nato da genitori ortodossi, come vede tutto questo?
Penso che bisognerebbe essere più consapevoli del fatto di avere più polmoni. Anzi, a dire il vero non sono soltanto due. C’è anche il polmone siriaco, una tradizione da non dimenticare. Un teologo dovrebbe prendere atto di questa molteplicità di presenze e di espressioni della Chiesa. Occorre, in altre parole, un’ampiezza cattolica reale del pensare e del sentire.
 — Quali sono le caratteristiche principali del polmone orientale?
L’Oriente greco è segnato dalla percezione dell’esistenza umana chiamata alla divinizzazione. L’uomo è stato creato per diventare partecipe della natura divina condividendo l’esistenza di Dio in un disegno di comunione vitale. Nell’Oriente si avverte con forza che la Chiesa si colloca all’interno di una tradizione vivente con cui va mantenuto un legame costante. Tutto ciò non si oppone all’apertura alla novità e alle nuove necessità. Il Concilio ecumenico Vaticano II in tanti punti si ispira alla teologia dei padri Greci, riprende la prospettiva antropologica cristocentrica e la concezione della chiamata dell’uomo a partecipare e condividere l’esistenza di Dio in Cristo. Il Concilio è stato perciò il luogo in cui i due polmoni hanno cominciato a sintonizzarsi. Oggi, consapevoli di ciò che ci unisce, andrebbero riprese con maggiore decisione le sollecitazioni avviate dal Concilio.
 — Qual è il ruolo dello Spirito Santo nell’esperienza ortodossa?
In passato si è molto insistito sul maggior carattere pneumatocentrico della tradizione ortodossa rispetto alla Chiesa latina.
In parte è vero, ma nell’Oriente lo Spirito non è mai visto indipendentemente dal Cristo e dalla vita trinitaria.
Lo Spirito ha un ruolo centrale perché tutto è dovuto alla sua azione.
L’azione dello Spirito è di “cristificare” il mondo e l’uomo, cioè di portare alla partecipazione della vita divina l’uomo e il cosmo.
Lo Spirito è chiamato a trasformare l’uomo in modo da diventare sempre più intimamente simile, come struttura, come modo di pensare e di agire, al Cristo Signore.
Praticamente, “vivere in Cristo” secondo l’indicazione di San Paolo.
Gli ortodossi insistono che non si tratta di aggiungere virtù a virtù, ma di esistere in un certo modo, cioè acquisire l’esistenza conforme all’esistenza stessa di Dio.
Lo Spirito chiede a me come persona di entrare in un rapporto di comunione interiore sempre maggiore con il Cristo.
— Nei “Racconti di un pellegrino russo” si parla della preghiera del cuore con l’invocazione: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore”. In questo quadro, che significato ha questa preghiera?
La “preghiera continua” è l’elemento fondamentale che esprime più adeguatamente la prospettiva spirituale dell’Ortodossia.
Nella preghiera di Gesù vi è il riconoscimento della gloria divina, che si fa carne in Cristo e che arriva a noi attraverso la figliolanza divina di Cristo.
Vi è poi la consapevolezza del nostro peccato, della nostra povertà, del nostro non avere nessun diritto da vantare nei confronti di Dio.
Noi siamo caratterizzati dalla nostra ingiustizia, siamo peccatori…
Però fra il Signore e noi c’è il ponte, cioè la misericordia.
Il Cristo, nella prospettiva orientale, non è una presenza lontana.
In forza del battesimo noi siamo viventi in Cristo e Cristo è in noi.
Possono sembrare riflessioni astratte; in realtà questa preghiera manifesta la sua forza quando l’orante concretamente vive.
— Dall’incontro a Cuba a febbraio tra Francesco e il patriarca di Mosca Kirill alla visite a Lesbo e in Armenia: come vive la Chiesa ortodossa queste aperture al dialogo?
Ogni incontro andrebbe visto separatamente.
La Chiesa ortodossa non è come la Chiesa cattolica, ma è una comunione di Chiese nazionali autocefale.
Non ha al suo interno una figura dotata di autorità come il Romano Pontefice.
Il Patriarca di Costantinopoli ha un primato d’onore che vorrebbe estendere maggiormente o comunque vedere più riconosciuto, ma non può parlare a nome dell’Ortodossia se non ha il consenso delle altre Chiese.
A Cuba papa Francesco e Kirill hanno compiuto un passo importante.
Il Patriarca ha riconosciuto l’esistenza delle chiese greco-cattoliche.
L’incontro di Lesbo, invece, ha colpito molto ortodossi greci, ma non bisogna da qui trarre conclusioni universali per l’Ortodossia, ogni volta le cose vanno viste nel loro proprio contesto. Anche riguardo al Conclio pan-ortodosso, il cammino non è stato facile.
Se ne parlava dagli inizi del ‘900, poi la cosa si bloccò anche per la fine del socialismo reale nei Paesi del blocco sovietico.
Alla fine il Patriarca di Costantinopoli ha accelerato e il Concilio si è messo in moto. è però sufficiente che una piccola Chiesa come Cipro, che conta 300mila fedeli, blocchi un documento, che quest’ultimo non avrà valenza per tutta l’Ortodossia.
Il Concilio vuole mostrare in primo luogo agli ortodossi stessi che le Chiese ortodosse sono un’unica Chiesa.
 — Qual è invece la forza di avere un’unica autorità come il Papa nella Chiesa cattolica?
C’è un teologo e filosofo greco giovane, l’archimandrita Giovanni Panteleimon Manussakis, che sostiene che  l'Ortodossia ha bisogno di più elementi simili a quelli del Papato e che la Chiesa cattolica, nel vedere il Papato, avrebbe bisogno di più elementi simili a quelli dell’Ortodossia.
La Chiesa ortodossa dovrebbe cioè darsi più strumenti per vivere l’unità, ma senza l’investimento teologico che la Chiesa cattolica dà al Papato.
Dall’altra parte, il Papato avrebbe bisogno di dare maggiore spazio alla sinodalità e all’autonomia delle Chiese locali, articolando meglio, secondo lui, l’unità e la diversità.

Davide Maloberti
Riccardo Tonna
da Il Nuovo Giornale 1/07/2016

domenica 3 luglio 2016

SCRIVERE E' MAGIA

HURRICANE  Il grido dell'innocenza è un film suggestivo  con una eccellente  performance di Denzel Washington nella parte del protagonista
Rubin Hurricane Carter.
Rubin Carter, noto anche con il soprannome Hurricane (1937-2014), è stato un pugile statunitense naturalizzato canadese,
La sua carriera di pugile si è svolta tra il 1961 e il 1966, ma Carter deve parte della sua notorietà all'essere stato accusato di un triplice omicidio, avvenuto il 17 giugno 1966 a Paterson, nel New Jersey: sottoposto a processo, fu condannato a due ergastoli ma fu scarcerato nel 1985, quando l'accusa rinunciò a muovere in giudizio una terza volta contro l'illegittimità processuale sollevata dalla Corte Federale sulla base di un possibile
pregiudizio razziale subito da Rubin durante l'incriminazione.
La sua storia ha ispirato un film, Hurricane - Il grido dell'innocenza, della cui colonna sonora fa parte una celebre canzone di Bob Dylan
Durante la sua detenzione, Carter scrisse dell'irregolare vicenda giudiziaria subita in un libro che fece parlare e cantare personaggi di spicco come Cassius Clay e il già citato Bob Dylan. 
Dopo 22 anni di reclusione il suo caso fu riesaminato senza pregiudizi razziali e venne decretata la sua piena innocenza.
Al di là della ricostruzione romanzata della storia, però fondata sulla vita di Carter, Denzel ci fa immedesimare nel personaggio tanto da farci provare il passaggio da un'emozione all'altra, fino a tirare un sospiro di sollievo alla lettura dell'ordinanza di scarcerazione.
Una piccola perla, a mio avviso,  un capolavoro della sceneggiatura, è il discorso di Rubin sulla scrittura.
Queste parole emergono dal dialogo in carcere tra Rubin e Lesra, suo giovane amico e ammiratore.
"Scrivere è... è magia. Ti è capitato di pensarlo?"
"Si, a volte si."
"Quando ho cominciato a scrivere, ho scoperto che non stavo raccontando solo una storia. Scrivere è un'arma. Ed è un'arma più potente di qualsiasi pugno. Ogni volta che mi sono messo a scrivere, mi sono levato sopra le mura di questa prigione e il mio sguardo andava oltre, al di là dello stato del New Jersey. Ho potuto vedere Nelson Mandela nella sua cella, che scriveva il suo libro. Ho visto lui, ho visto Dostoevskij, ho visto Victor Hugo, Emile Zola. E loro mi dicevano: Ru', che fai lì dentro? E io: ehi, io vi conosco ragazzi! È magia, Les!"
Sono parole che sanno emozionare, che sanno cogliere il valore della scrittura che  ti può dare la vera libertà, ti può portare dove vuoi…

Con la scrittura puoi raggiungere migliaia di persone e donare a tutti i tuoi pensieri, le tue suggestioni comunicando chi sei veramente…


giovedì 30 giugno 2016

SPACCATO in DUE. L'alfabeto di GIAN

“Il libro mi racconta con verità… E’ una storia di dolore, ma anche di fede, come dovrebbe essere la storia di tutti quanti.
Le esperienze raccontate hanno permesso a me di presentarmi così come sono, anche molto debole in questo momento, ma molto forte in altre situazioni.
Tutto quello che ho imparato nella malattia viene qui condiviso con chi vorrà leggerlo.
Auguro a tutti di leggere questo testo e meditarlo. Lettera per lettera.
Contiene la nostra vita in tutta la sua lunghezza.
In fondo – come ho detto con mio fratello – “Noi siamo fatti per il cielo. Per sempre: Per l’eternità.
Allora, buona lettura!
In questo libro mi ritroverai, in ogni pagina. E io troverò te.
Sento che, in Dio, siamo già amici".
Di Gianluca Firetti possiamo dire che, come ci racconta la copertina del libro, è stato un perito agrario, calciatore, che nel dicembre 2012, a 18 anni si è ammalato di tumore.
Tutto nella sua vita è cambiato, ma ha accettato la sua situazione e, in queste pagine, racconta se stesso, mostrando come, nella lotta, si diventa pienamente uomini.
Muore il 30 gennaio 2015, nel giorno in cui giungono dalla tipografia le prime del suo libro.
CONTINUA





mercoledì 29 giugno 2016

Ciao José


Ricordo, nella mia esperienza di educatore in una casa accoglienza di malati AIDS, il volto esile e fragile di una ragazza che si chiamava Maria Josè.
Non so più che fine abbia fatto, avevo avuto notizia che si era allontanata volontariamente dalla Comunità e penso sia stata inghiottita di nuovo dal mondo delle dipendenze.
Una giovane dotata anche di un piglio artistico.  Mi ha lasciato infatti un suo disegno qui pubblicato che esprime tutta la sua personalità.
In questa composizione artistica emerge una luce che vuole, a mio avviso, abbattere tanti spettri di paure e angosce  che si nascondono dentro di noi.
Penso che lei avvertiva la forza di questa luce, ma non ha saputo e voluto accoglierla.
Riporto il suo scritto che mi ha dedicato quando ho lasciato la Casa Accoglienza per dedicarmi all’insegnamento nella Scuola.
Ciao Riccardo, chi ti scrive è una ragazza forse un po’ matta, che ha perso la via e la vita…
Ti ho conosciuto qui, in un posto dove devo ricercare me stessa.
Le tue parole mi sono state di aiuto, con te mi sono trovata molto bene, mi dispiace molto che te ne vai, ma forse la vita ha deciso così…
Mi fa molta tristezza che tu vada, ma forse l’insegnamento è la tua vita.
Spero che ti ricorderai di noi, per me è stata una bella esperienza conoscerti, mi lasci comunque qualcosa nel cuore.
Non dimenticarti di noi, ti auguro una vita felice e io spero di riuscire nella mia. Mi mancherai molto.
Con affetto José.
Ritrovando questo scritto, a distanza di anni, ho provato rammarico perché queste parole ci ricordano tutte le persone fragili di cui spesso ci dimentichiamo.
Si tratta di  vissuti umani che si portano dentro profonde lacerazioni, esperienze difficili e drammatiche.
Spesso ci viene voglia di dire che se la sono cercata loro quella vita… Ma non è possibile liquidare così le sofferenze dell’umanità. Il Giubileo della Misericordia di Papa Francesco ci invita a dare perdono ai più lontani e dimenticati.
Non so più dove sia Maria José, ma stasera ritrovando questo  suo scritto la ricordo con affetto e tenerezza. Le sue parole e il suo disegno, che esprimono una ricerca di luce, mi mettono  nel cuore tanta tristezza  e malinconia per non essermi più ricordato di lei.
José, pur nell’esperienza della malattia, era una persona solare che anche nella sua frase di saluto finale fa emergere il calore riposto in ogni cuore.
Con le sue stesse parole voglio affidarmi ad una speranza:
ci sarà un sole che risplenderà ancora nelle nostre vite e che ci riscalderà
 Dovunque tu sia: ciao José


domenica 12 giugno 2016

Cos'è la morte? La risposta di una bambina che ha commosso il mondo

Come oncologo con 29 anni di esperienza professionale, posso affermare di essere cresciuto e cambiato a causa dei drammi vissuti dai miei pazienti. Non conosciamo la nostra reale dimensione fino a quando, in mezzo alle avversità, non scopriamo di essere capaci di andare molto più in là.
Ricordo con emozione l’Ospedale Oncologico di Pernambuco, dove ho mosso i primi passi come professionista. Ho iniziato a frequentare l’infermeria infantile e mi sono innamorato dell’oncopediatria.
Ho assistito al dramma dei miei pazienti, piccole vittime innocenti del cancro. Con la nascita della mia prima figlia, ho cominciato a sentirmi a disagio vedendo la sofferenza dei bambini. Fino al giorno in cui un angelo è passato accanto a me!
Vedo quell’angelo nelle sembianze di una bambina di 11 anni, spossata da due lunghi anni di trattamenti diversi, manipolazioni, iniezioni e tutti i problemi che comportano i programmi chimici e la radioterapia. Ma non ho mai visto cedere quel piccolo angelo. L’ho vista piangere molte volte; ho visto anche la paura nei suoi occhi, ma è umano!
Un giorno sono arrivato in ospedale presto e ho trovato il mio angioletto solo nella stanza. Ho chiesto dove fosse la sua mamma. Ancora oggi non riesco a raccontare la risposta che mi diede senza emozionarmi profondamente.
“A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio. Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!”
“Cosa rappresenta la morte per te, tesoro?”, le chiesi.
“Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero? (Mi sono ricordato delle mie figlie, che all’epoca avevano 6 e 2 anni, e con loro succedeva proprio questo)”.
“È così. Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!”
Rimasi sbalordito, non sapendo cosa dire. Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina.
“E la mia mamma avrà nostalgia”, aggiunse.
Emozionato, trattenendo a stento le lacrime, chiesi: “E cos’è la nostalgia per te, tesoro?”
“La nostalgia è l’amore che rimane!”
Oggi, a 53 anni, sfido chiunque a dare una definizione migliore, più diretta e più semplice della parola “nostalgia”: è l’amore che rimane!
Il mio angioletto se ne è andato già molti anni fa, ma mi ha lasciato una grande lezione che mi ha aiutato a migliorare la mia vita, a cercare di essere più umano e più affettuoso con i miei pazienti, a ripensare ai miei valori. Quando scende la notte, se il cielo è limpido e vedo una stella la chiamo il “mio angelo”, che brilla e risplende in cielo.
Immagino che nella sua nuova ed eterna casa sia una stella folgorante.
Grazie, angioletto, per la vita che ho avuto, per le lezioni che mi hai insegnato, per l’aiuto che mi hai dato. Che bello che esista la nostalgia! L’amore che è rimasto è eterno.

(Dr. Rogério Brandão, oncologo)

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]



domenica 5 giugno 2016

Riscoprire Cristo a partire dall’ebraismo


Trent’anni fa la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma. 
L’imprenditore Squeri: la mia bisnonna Mariagrazia Vigevani faceva parte della Comunità ebraica di Cortemaggiore

"Siete i nostri fratelli maggiori”: parole storiche quelle pronunciate nell’aprile 1986 da Giovanni Paolo II nella visita alla sinagoga di Roma, confermate poi dai suoi successori, Benedetto XVI e Francesco. Il cristianesimo è strettamente legato all’ebraismo. “Io ho riscoperto la fede cristiana grazie all’ebraismo – racconta l’imprenditore piacentino Dario Squeri, alla guida della Steriltom di Casaliggio, azienda di trasformazione del pomodoro che esporta in tutto il mondo -. La mia bisnonna, Mariagrazia Vigevani, era di origine ebrea, così mia nonna e poi mamma. L’origine ebraica si trasmette attraverso la madre”.
La bisnonna apparteneva alla comunità ebraica di Cortemaggiore, nata nel ’500 dopo l’espulsione, da parte dei Farnese, degli ebrei dalla città di Piacenza. La comunità ebraica trovò ospitalità nelle terre dei Pallavicino”. Da alcuni anni Dario Squeri è in contatto, fra l’altro, con la comunità ebraica di Roma che è la più antica della diaspora.
Gesù, una figura sconvolgente
“Gesù anche per un ebreo – sottolinea Squeri - è una figura sconvolgente; guardandolo con gli occhi dell’Antico Testamento, ne diventa l’espressione più grande e più forte”.
“La condanna di Cristo, da parte di Israele, emerge soprattutto dal Sinedrio dove dominavano i Sadducei, legati ai romani: non mettevano in discussione la legge scritta e non credevano nella vita
Dario Squeri
eterna. Un secolo prima di Cristo gli Esseni avevano invece aperto una nuova strada in
contrapposizione alla concezione rigida della Torah. Dagli Esseni nascono i Farisei, che a mio parere vanno in un certo qual modo riabilitati. I farisei cercano uno sviluppo dell’ebraismo, riflettendo sulla Legge e si contrappongono al potere sacerdotale e al Sinedrio. I Sadducei sono i discendenti di Aronne e rappresentanti delle famiglie più ricche. I farisei invece provenivano da un ceto più povero ed erano più aperti di mentalità. Gesù discute con loro e questo confronto fa nascere pagine stupende del Vangelo.
“A promuovere la condanna di Cristo – puntualizza Squeri - non è il mondo farisaico, tanto meno quello romano, ma i Sadducei che non volevano nessuna modifica dell’ordine costituito. Cristo non è condannato perché faceva miracoli, neanche per le Beatitudini, ma per aver affermato di essere «Figlio dell’uomo », cioè per aver detto che Dio si è fatto uomo e che in Lui l’uomo diventa Dio. Questa cosa risultava devastante per il mondo sadduceo e per il Sinedrio perché significava la loro fine, la fine del loro potere e la fine anche del Tempio. Gesù non è un rivoluzionario politico, ma è un rivoluzionario dello spirito che sconvolge sul piano sociale e apre la Torah ad una nuova dimensione”.
La Torah, un corpo vivente
“La Torah, l’insegnamento della volontà di Dio , viene fatta risalire a Mosè e si struttura storicamente dopo il ritorno dall’esilio a Babilonia verso il 520. La classe sacerdotale del popolo s’impegna, insieme ad Esdra, per evitare il disperdersi della tradizione orale, a trascrivere gli antichi racconti. Mentre si ricostituisce il Tempio di Gerusalemme, i sacerdoti iniziano così la stesura della Torah. Essa rappresenta per l’Ebraismo un corpo vivente, la Parola di Dio che si manifesta all’uomo. Così viva che quando si legge la Torah al sabato nella sinagoga, per rispetto, nell’indicare i versetti da leggere, non si usa la mano, ma lo Yad, una piccola mano d’argento: così non si tocca fisicamente il rotolo della Scrittura. La Torah non può mai essere stracciata; anche quando viene lacerata per il grande uso liturgico nella lettura del libro, viene sepolta come se fosse un vero corpo vivente in un’area della sinagoga stessa, chiamata Ghenizah”.

Gesù, un ponte tra le religioni
Gli scontri e l’alta tensione oggi sul piano internazionale non dipingono un orizzonte roseo davanti all’umanità. “Cristo può essere il punto di contatto per costruire la pace: Gesù è al centro del cristianesimo, è legato all’ebraismo e come profeta si trova anche nel mondo islamico. È Lui il ponte tra questi mondi che sembrano tanto lontani. Sarà un cammino lungo e faticoso, terribile, ma riuscire a ricollocare la figura di Cristo come unificante, come il Messia che riunisce le grandi religioni monoteiste, sarà la più grande rivoluzione della storia. Noi cristiani ci siamo, in un certo senso, appropriati troppo di Cristo, staccandolo dalla sua origine ebraica”.
Una tradizione in movimento
“La Torah ha sviluppato una parte legislativa, la Alakah, i 613 precetti. Di questi, 248 sono precetti positivi («devi fare…»), e 365 sono negativi («non devi…»). Accanto all’Alakah, la legge scritta, c’è l’Haggadah, la parte narrativa della Legge, basata sul racconto. Su queste tradizioni nasce la Misnah è il primo nucleo del Talmud e della Gemarah (che significa completamento). Nei secoli – prosegue Squeri - si sono alternati nell’ebraismo anima precettistica e anima mistica. Oggi il mondo ebraico è estremamente frastagliato al suo interno. Gli ortodossi, ad esempio, non accettano la donna rabbino, sulle leggi del sabato sono molto rigorosi, vietano di andare in macchina, di usare il telefono, mentre la parte riformista ha assimilato molti aspetti della civiltà moderna anche nella tradizione del sabato”.

Davide Maloberti Riccardo Tonna
Da "Il Nuovo Giornale del 27/05/16



venerdì 13 maggio 2016

Giraud Gaël e la transizione ecologica

Giraud Gaël, gesuita ed economista francese, all'università Cattolica di Piacenza, ha espresso in maniera chiara la sua convinzione dell'urgenza di un cambiamento di fonti energetiche.
Si tratta di una opzione senza alternative che però vede ancora delle resistenze...
Di seguito l'introduzione al suo saggio «Transizione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera dell’economia» (Emi)


A otto anni dallo scoppio della più grave crisi finanziaria che l’umanità abbia conosciuto, l’economia mondiale non ha ritrovato una situazione di equilibrio. La Cina ha capito che l’Occidente non può più consumare a credito i beni industriali che essa produce, ma stenta a trovare mercati sostitutivi. Il Brasile potrebbe crollare. Il Sud Europa è preso in una trappola deflazionistica da cui nessuno sa, al momento attuale, come potrebbe uscire, e che minaccia di condannarlo a perdere, come il Giappone, vari decenni. Le misure di austerità di bilancio imposte da Bruxelles e Berlino con la complicità di Parigi producono l’effetto purtroppo atteso: aggravano la depressione del Sud provocando l’aumento del rapporto debito pubblico/Pil. Misure d’austerità tanto più controproducenti in quanto distolgono l’attenzione dal vero problema europeo: l’eccesso di indebitamento privato e la deregolamentazione finanziaria. 

Privatizzazione antidemocratica  
Come non avanzare l’ipotesi che la pretesa crisi del debito pubblico non sia essenzialmente che un pretesto per imporre all’Europa il vecchio programma neoliberista di privatizzazione assoluta della società? È questo programma che ha portato a deviare dal bel progetto europeo. Oggi l’Unione Europea, e l’eurozona in modo del tutto particolare, coincide infatti con la più grande esperienza di privatizzazione antidemocratica probabilmente mai realizzata nel mondo. L’indipendenza della Banca centrale europea (Bce), per esempio, si rivela essere, prima di ogni altra cosa, un modo di sottrarre dalle mani degli Stati il potere sovrano di creazione monetaria, per meglio affidarlo al settore bancario privato. E la Bce quando, nel luglio del 2015, ha deliberatamente privato le banche greche dell’approvvigionamento di liquidità, una settimana prima del referendum di Tsipras, ha reso manifesto come il suo mandato non sia tanto di vigilare sulla stabilità finanziaria quanto sulla stabilità politica. Si trattava, né più né meno, di far cadere un governo democraticamente eletto, ma con il torto di aver voluto rinegoziare l’applicazione dei Trattati europei. Mentre la Germania di Schaüble si autorizza da sé a modificarne l’interpretazione come meglio le aggrada, Atene è invece condannata a un’ermeneutica a senso unico: privilegiare, prima di tutto e contro tutti, l’interesse dei creditori.  

Grecia ridotta a colonia  
Se il governo di Tsipras non è caduto, è semplicemente perché ha permesso la riduzione della Grecia allo stato di colonia: l’Europa del Nord ne saccheggia i beni pubblici, mentre al suo Parlamento non è più consentito votare una legge contraria a interpretare i Trattati come austerità. Il martirio della Grecia non potrà comunque avere l’effetto di sanarne la situazione economica: essa sarà sempre meno in grado di rimborsare il suo debito pubblico fintantoché la sua economia continuerà a essere salassata (le migliaia di miliardi di euro che abbiamo messo a disposizione delle banche per salvarle avrebbero invece permesso da lunga data di risolvere il problema greco). Per fare un esempio: chi, dopo questi avvenimenti, oserà ancora opporsi all’ordoliberalismo europeo? E Lisbona non è certo più robusta di Atene: la sua economia ha un’influenza troppo scarsa sulle economie dei Paesi del Nord perché questi ultimi si vedano costretti a negoziare con lei. La Spagna rimane in una situazione ambigua: se la deflazione che colpisce il sud del Paese finirà per avere la meglio sulla vitalità della Catalogna e dei Paesi Baschi, non potrà più resistere. 

Il «piano B»  
Italia e Francia hanno, al contrario, le forze per opporsi alla propria vassallizzazione. Il «piano B» che Yanis Varoufakis non ha potuto porre in atto ad Atene può essere concretizzato a Roma o a Parigi. A tal fine, è «sufficiente» che ognuno dei due Paesi metta in piedi uno stretto controllo dei capitali alle frontiere e batta in proprio la moneta che la Bce minaccerà di non distribuire alle rispettive banche. Le nostre banche allora falliranno ipso facto? Questo passaggio avrebbe almeno la virtù di mettere la situazione in chiaro: la maggior parte di esse non ha affatto sanato i propri bilanci dopo la crisi dei subprime. Sono banche-zombie che sostanzialmente sopravvivono perché riprestano ai nostri Stati, a tassi d’interesse positivi, il denaro che dalla Bce ricevono in prestito gratuitamente. Una volta dichiarato il loro fallimento, non rimarrà che nazionalizzarle e, ispirandosi all’Islanda, rifiutare di pagare i debiti bancari ai Paesi del Nord, per lo meno finché questi si ostineranno a rifiutarsi di rinegoziare onestamente. Sarebbe poi il caso che i nostri Paesi osassero infrangere il più grande dei tabù: stamparsi la propria moneta. Certo non per uscire deliberatamente dall’area dell’euro (nessuno sa cosa ciò significhi giuridicamente), ma per sopravvivere in un’eurozona dove la Bce utilizza l’arma dell’asfissia monetaria per far cadere i governi non graditi alla sfera finanziaria privata. Per ricuperare l’indipendenza monetaria, basta avere una zecca funzionante e fondi propri, in seno alla Banca centrale nazionale, equivalenti a circa il 5% del Pil. 

Il «piano» del Nord  
A dirla tutta, si può prevedere che, se il governo di uno dei nostri due Paesi si dicesse pronto per quest’operazione, neppure avrebbe bisogno di passare poi all’azione. La Germania e i Paesi del Nord Europa – Austria, Paesi Bassi, Finlandia, Benelux – abbandonerebbero preventivamente l’eurozona per rifugiarsi in una «zona marco» al riparo da ogni dibattito politico. Questo secondo «piano B», quello del Nord, è attualmente in discussione, sottovoce, in seno alle banche centrali dei Paesi in questione… Metterlo in atto farebbe però portare la responsabilità della deflagrazione dell’eurozona ai Paesi del Nord. C’è da scommettere che questi ci penseranno due volte prima di decidersi a tale passo. Un governo con la forza di brandire una minaccia seria – come quella di chiudere le frontiere e di battere la propria moneta indipendentemente da Francoforte – avrebbe insomma i mezzi per riportare tutti i Paesi dell’area dell’euro al tavolo del negoziato politico. 

Salvare il progetto europeo  
L’obiettivo? Salvare il progetto europeo. L’attuale traiettoria dell’eurozona, infatti, è forse la via più breve per distruggere le economie del Sud una ad una (e dopo, inevitabilmente, quelle del Nord) e riaccendere l’odio tra gli europei. Il lettore lo sa bene: tutta la difficoltà sta nel trovare un governo capace di un simile coraggio politico. Renzi pare troppo occupato a smontare il mercato del lavoro italiano, e dunque a eseguire il programma neoliberista di privatizzazione del lavoro, per poterlo anche solo immaginare. In Francia, il Partito «socialista» è intrappolato dal lascito dei socialdemocratici francesi che hanno modellato l’architettura mondiale del neoliberismo: Delors, Lamy, Camdessus, Strauss-Kahn… L’Fmi, l’Ocse, il Wto e l’Unione Europea sono stati tutti pensati da questi «socialisti» come strumenti a servizio di una privatizzazione «universale». Oggi, fortunatamente, l’Ocse ha fatto il suo aggiornamento, il Wto ha perso quasi tutto il potere che aveva e la Cina finirà per obbligare l’Fmi a riformarsi. Rimane l’Unione Europea del Trattato di Maastricht, ultimo bastione degli apprendisti stregoni degli anni Ottanta e Novanta. Difficile immaginare che possa essere messa sotto indagine e poi ricostruita dagli eredi stessi di coloro che l’hanno edificata. 

Energia per un’altra Europa  
La tesi di questo libro è che la transizione energetica e, più largamente, ecologica è il grande progetto politico, economico, sociale, spirituale… capace di ispirare ai democratici italiani e francesi il coraggio di dire no a questa Europa. E l’energia per costruire un’altra Europa. L’enciclica Laudato si’, come pure il discorso di papa Francesco ai movimenti popolari a Santa Cruz in Bolivia (9 luglio 2015) sono un chiaro invito, non solo ai cattolici ma anche a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, a non sostenere più la follia antidemocratica di istituzioni europee che disprezzano la loro periferia tanto quanto disprezzano l’ecosistema planetario. I cattolici dovranno dunque fare fronte comune con le forze politiche democratiche che oseranno prendere l’iniziativa di fare dell’Europa la pioniera di una società decarbonizzata e attenta ai più poveri. Per salvaguardare la nostra «casa comune», la Terra. E in modo speciale l’ala europea di questa bella casa. 


lunedì 18 aprile 2016

SLOT MOB


La campagna Slot mob è nata a Luglio 2013, promossa da vari esponenti della Società Civile, per combattere il problema del gioco d’azzardo legalizzato che sta dilagando in Italia.
Il business del gioco è enorme: nel 2012 in Italia sono stati giocati più di 80 miliardi di Euro, per un incasso netto da parte dello Stato di 8 miliardi. Ma i costi sociali legati a questo business non sono da meno: oltre 800.000 persone a rischio dipendenza (GAP, Gioco d’azzardo Patologico), famiglie distrutte, numerosi casi di suicidi per i troppi debiti, senza contare le infiltrazioni mafiose che riciclano denaro attraverso le sale Slot e i casi di usura sempre più in aumento.
Lo Stato, in sostanza copre i buchi di bilancio promuovendo il gioco con una visione miope di breve periodo, senza valutare l’impatto sociale che questo comporta. E, come al solito, se i profitti vanno in mano alle aziende che operano nel buisness, i costi ricadono sulla collettività (costi per le Asl per la cura dei giocatori, lotta alla criminalità).

Anche a Piacenza si è fatta una riflessione sui vari volti del GIOCO d'AZZARDO.
Protagonista dell'incontro Carlo Cefaloni autore del libro "Vite in gioco".
Ecco alcune risposte di Cefaloni alle domande più significative sull'argomento

Perché questa scelta politica?
Cefaloni: Corrisponde alla filosofia per cui in tempi di crisi economica e di scarse risorse pubbliche con le quali soddisfare i bisogni sociali, lo Stato sceglie di far cassa ricorrendo al gioco d’azzardo. Tanto il gioco d’azzardo esiste e tanto vale usarlo come fonte di introito. Per questo il gioco è stato dato in mano a società specializzate che ne traggono profitto, restituendone parte all’erario che così provvede alla spesa sanitaria, alla cassa integrazione, alle altre necessità di carattere pubblico. Con una strategia di corto respiro oltre che controproducente.

Chi gestisce il gioco? Chi ci guadagna?
Cefaloni: Le grandi concessionarie in Italia hanno il nome di Lottomatica o di Sisal; nella prima domina la Società De Agostini che è più conosciuta per l’attività editoriale, ma è il massimo gestore dell’azzardo anche nel mondo e in Sisal ci sono soci come Le Generali o Mediobanca. Si tratta di realtàche hanno un loro codice etico per cui una quota parte dei proventi viene destinato alla cura della ludopatia o alla formazione degli operatori del settore che si afferma siano cresciuti fino a 120 mila, anche se altre stime ritengono che in questa cifra vadano calcolati gli 80 mila gestori dei bar già
esistenti. Nel testo pubblicato c’è il dettaglio delle imprese che gestiscono il settore per cercare di capire meglio il fenomeno di cui stiamo parlando.

Ecco gli interventi finali al Convegno di Piacenza

I VOLTI DELL'AZZARDO

Convegno Piacenza 16 aprile 2016
Barbara Tondini - moderatrice
Carlo Cefaloni - autore libro "Vite in gioco"
Maurizio Avanzi - responsabile Ser.T Cortemaggiore
Alessandra Bassi - councellor
Fausta Fagnoni - councellor
Gabriele Mandolesi - Slot Mob
Titolare "Galleana Cafè" bar libero dal gioco d'azzardo

da Youtube

mercoledì 23 marzo 2016

Vangelo di Giovanni commentato dagli studenti



Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura! ». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti. Gv 6, 16-21






In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».





Per comprendere meglio la frase "se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io la farò" bisogna collocarla nel contesto del capitolo 14 di Giovanni dove Cristo si accomiata dai suoi discepoli.
Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
 In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.  Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio.  Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò




lunedì 7 marzo 2016

OSEA: il profeta della Misericordia

Osea- Basilica S.Gaudenzio a Novara
Osea è il primo dei profeti che ha avuto l'ardire di fare dell'amore umano, che esiste tra lo sposo e la sposa, il simbolo dell'amore di Dio verso Israele, suo popolo; e ha avuto l'audacia di concepire il patto tra Dio e Israele come un'alleanza nuziale, uno sposalizio d'amore, con tutto ciò che in fatto di intimità e di tensione questo possa comportare.
E questa sua interpretazione si riflette nel suo linguaggio, che è ricco di tutta una terminologia d'amore, che si riferisce all'amore sponsale. Così ad esempio egli parla di cuore, di fidanzamento, di fedeltà, di seduzione, di gelosia, di adulterio, di prostituzione.
Come Osea è arrivato ad applicare un così audace simbolismo? Vi è pervenuto, non inventando una parabola a scopo didattico, ma partendo dalla sua esperienza personale di vita, quella di un matrimonio infelice, di un amore tradito:

Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse:
"Va', prenditi in moglie una prostituta
e abbi figli di prostituzione,
poiché il paese non fa che prostituirsi
allontanandosi dal Signore" (Os 1,2)
Il Signore mi disse ancora: "Va', ama una donna che è amata da un altro ed è adultera; come il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dei" (Os 3,1)

P. Aurelio Pérez


sabato 20 febbraio 2016

Africa Mission: superare lo stereotipo

Interessante l'incontro con le operatrici di Africa Mission Pamela e Giulia che hanno coinvolto i giovani del Raineri-Marcora in riflessioni stimolanti.
Le classi del biennio si sono confrontate con la realtà dell'Africa conoscendo una significativa associazione che da anni opera in questi territori.




Si è partiti con il video "Te eyes of a child" dove i bambini ci insegnano non bloccarci dinanzi alla diversità.

Il corto "The lunch date" ci ha poi messo davanti agli occhi come il pregiudizio ci condiziona

Infine "African Men. Hollywood Stereotype" ha sottolineato come nell'immaginario collettivo è visto lo stereotipo dell'africano.


Infatti i luoghi comuni nei confronti del continente africano sono criminalità, corruzione, povertà, malattie, guerre.
L'incontro con Africa Mission ci ha invece presentato l’altra Africa, quella non descritta, non raccontata, non sparata sui titoloni dei giornali forse perché troppo diversa – appunto – da quello a cui siamo stati abituati a pensare del continente.
Pamela e Giulia hanno messo in evidenza ciò che fa Africa Mission per l'Uganda: un grande lavoro di promozione umana valorizzando la cultura nativa dei popoli africani
In oltre 40 anni di attività, il Movimento ha portato aiuti in Ghana e Nigeria, Mozambico, Etiopia, Eritrea, Angola, Sudan, Tanzania, Rwanda, Guinea Bissau, Ciad, Zaire, Somalia, Niger e Madagascar, concentrando il suo impegno soprattutto in Uganda.
Africa Mission racconta, attraverso il suo operato, lo stile della carità che significa:
accoglienza presso le sedi di Kampala e Moroto,
ascolto dei poveri, dei missionari, dei volontari, dei sostenitori e dei collaboratori,
rispetto dell’uomo, delle differenze e della povertà,
attenzione alla realtà che ci circonda, alle povertà e alle sue cause,
concretezza negli interventi mirati e realmente utili alla vita di chi si vuole aiutare,
condivisione dell’impegno, delle fatiche e delle responsabilità, dono del proprio tempo, delle proprie capacità, delle proprie risorse e di se stessi.


giovedì 18 febbraio 2016

LUCA: il Vangelo della Misericordia


Luca si preoccupa di insistere sul fatto che il Vangelo della grazia, della misericordia di Dio, non viene compreso.
Infatti, i farisei e gli scribi mormoravano perché a Gesù si avvicinavano tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo: «Costui - dicevano - riceve i peccatori e mangia con loro» (Luca 15,2). 
Mormoravano coloro che vivono le pratiche religiose e perciò si ritengono in possesso di diritti acquisiti rispetto al Regno di Dio; tuttavia tale opposizione alla parola di grazia di Gesù non viene espressa in forma diretta, bensì mediante allusioni, riferimenti vaghi, piccole frasi che contengono mezze verità e sono messe in giro, sottintesi. 
Dire una mezza verità, con dei sottintesi, è il modo con cui da sempre ci si mette contro il Vangelo della grazia.
Gesù non pronuncia una difesa; semplicemente ribadisce il messaggio della misericordia, perché la parola di Dio è luce e non ha bisogno di essere illuminata da altro.
   Carlo Maria Martini
   
                  
"Io nono sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano" Lc 5, 27-32

"Padre, ho peccato verso il cielo e davanti a te" Lc 15, 1-3.11-32




sabato 6 febbraio 2016

Primo Libro dei RE

Raffaello: "Il giudizio di Re Salomone" - Musei Vaticani
In Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte e gli disse: «Chiedimi ciò che io devo concederti». 
Salomone disse: «Tu hai trattato il tuo servo Davide mio padre con grande benevolenza, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questa grande benevolenza e gli hai dato un figlio che sedesse sul suo trono, come avviene oggi. 
Ora, Signore mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide mio padre. Ebbene io sono un ragazzo; non so come regolarmi. 
Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare né contare.
Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?» 1 Re 3,5-9

sabato 30 gennaio 2016

Yoga del sorriso con Richard Romagnoli

Le parole di Richard Romagnoli, maestro dello Yoga del Sorriso, agli studenti dell’Istituto Raineri – Marcora di Piacenza
Ti prego di abbracciare con l’energia della gratitudine e l’energia del perdono entrambi i tuoi genitori ovunque siano. Abbracciali avvolgili in questa luce.
Ora con questa energia abbraccia i tuoi familiari fratelli, sorelle…
Percepisci il brivido dietro la tua schiena: e' sempre più forte questa energia!
Ora ti chiedo di abbracciare i tuoi compagni…
Ti chiedo ti avvolgere, con questa energia meravigliosa, i tuoi conoscenti, i tuoi colleghi, le persone che incontri ogni giorno nella tua vita.
Ora esprimi questo raggio di luce, sotto forma di gratitudine, ai tuoi insegnanti, alle persone che incontri ogni giorno in questo istituto, a tutte le persone che conosci, alla tua città, al tuo paese d’origine.
Immagina di abbracciare questo mondo e avvolgerlo con questa energia.
Ora, dall’alto, osserva queste immagini di persone violente, armate, ti chiedo di non giudicare, sospendi i giudizi e porta luce, amore a queste persone.
Pensiamo che dalle loro mani cadono le armi. Come  queste persone, grazie alla tua energia, si inginocchiano,  si adagiano a terra e finalmente cambiano le loro attitudini mentali.
Percepisci questa pace che crei ogni giorno attraverso i tuoi singoli pensieri.
Ora ti chiedo di portare questa energia ad una persona importante senza la quale tutto questo mondo non esisterebbe.
Questa è una persona straordinaria che realizzerà ogni cosa buona e giusta nella tua vita.
La persona che ti chiedo di avvolgere nella luce della gratitudine sei tu…
Percepisci questa luce che ti avvolge, questa è l’energia di ritorno che proviene dai tuoi buoni pensieri e dalle tue reazioni che determinano il tuo giudizio.
Questa voce è dentro di te ed emana la consapevolezza della bellezza dei tuoi pensieri
Cercate di percepire l’energia che è dentro di voi..
Qualunque cosa, da questo istante in avanti che farete è determinata dalla qualità dei pensieri.
La felicità è una scelta, ma anche l’infelicità è un scelta…
Chi determina la scelta sei tu.
Se pensi che la felicità provenga da un oggetto esterno, da qualche cosa  come il fumo, come la droga sei nella strada più sbagliata perché è illusione pura che di sicuro di causerà dei danneggiamenti potenti.
Non lasciarti mai fuorviare da ciò che di bello ti ha regalato la vita, dai genitori, dalla bellezza della natura.
La natura è tua maestra.
Abbi fiducia che il tuo futuro è nelle tue mani
Sei la manifestazione vivente che soprattutto nei momenti più difficili della vita, che io chiamo maestri, arriva il momento più bello della vita che si manifesta con la propria azione.
Non importa se qualcuno si prende gioco di te. Segui il tuo sogno.
In questo momento stiamo  respirando tutti insieme lo stesso ossigeno.
I vostri professori sono prima di tutto degli esseri umani.
Se c’è una cosa certa , come esseri umani, è che anche loro sbagliano, perché la vita è perfetta, ma non gli esseri umani.
Ogni giorno però i vostri insegnanti vengono qui, non per il misero stipendio che prendono, per incontrarvi e incontravi ancora…
Nonostante a casa loro abbiano delle grosse difficoltà familiari, delle mancanze affettive.
Voi siete i loro sogni, voi siete i sogni di questo mondo.
Se questa mattina sono anch'io qui è per rendervi onore e, insieme ai vostri professori, dirvi che vi amiamo esattamente per ciò che siete.

Grazie per tutto ciò che di straordinario farete…



venerdì 22 gennaio 2016

Vangelo di MARCO: la tempesta sedata Mc 4,35-41

Rembrandt: La tempesta sedata
Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». 
E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. 
C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. 
Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». 
Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 
Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Ecco nel video il commento

martedì 19 gennaio 2016

Vangelo di MARCO cap. 3

Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare.
Allora i suoi (parenti), sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé». (Mc 3,20-21)
Questo passo evangelico ripropone un'immagine cara all'evangelista Marco dove si sottolinea l'accorrere delle genti verso Cristo.
Una grande folla spinta, oltre che da curiosità, da tanti interrogativi cerca Gesù lo vuole vedere, conoscere, toccare.
Tutto ciò avrà provocato, possiamo immaginare, un enorme stress alla persona di Cristo.
Proprio tale situazione di vita quasi impossibile e senza riposo, unita all'incomprensione da parte dei capi e maestri del popolo, può avere spinto i parenti a mettersi in cammino per andare a riprendersi il loro familiare.

sabato 16 gennaio 2016

Vangelo di Marco cap. 2

Caravaggio: "La chiamata di Matteo"
In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: 
«Seguimi». 
Ed egli si alzò e lo seguì.


martedì 12 gennaio 2016

I giovani ugandesi in Italia con Africa Mission


Denso di emozioni è stato l'incontro con i giovani dell'Uganda svoltosi all'istituto Raineri Marcora di Piacenza.
I ragazzi africani hanno presentato, con semplicità e grande immediatezza, la realtà della loro terra e della loro cultura.
Un incontro suggestivo caratterizzato anche da canti e dalle danze tradizionali africane.
I dodici giovani ugandesi provenienti dalla regione del Karamoja (6 ragazzi e 6 ragazze di età compresa fra i 18 e i 28 anni) hanno portato il loro messaggio di speranza.
Anche per loro è stata un’esperienza formativa in Italia da mettere a frutto, al rientro in Uganda, nel loro cammino comunitario.
Questa iniziativa è nata dal progetto “Vieni e Vedi” per ragazzi/e ugandesi, un’iniziativa di Africa Mission-Cooperazione e Sviluppo realizzata in Italia da dicembre a gennaio 2016.
Africa mission è una ONG, nata a Piacenza nel 1972, che opera soprattutto in Uganda.
Il progetto nasce dalla convinzione che la "vita è un dono da condividere" e che la condivisione nasce dall’incontro, dalla conoscenza e dal dialogo.
I dodici ragazzi provenienti dalla savana del Karamoja, hanno offerto con entusiasmo i loro canti, le loro danze e le loro rappresentazioni.
Hanno parlato della loro vita, delle difficoltà e delle loro attese.
Si è trattato veramente di una preziosa opportunità per:
• apprezzare la bellezza della loro cultura tradizionale;
• condividere la gioia di vivere che la loro anima esprime;
• conoscere le sfide della loro terra e le attese del loro cuore;
• fare un tratto del cammino di solidarietà insieme a loro.

giovedì 7 gennaio 2016

Prima lettera di Giovanni cap. 4

"Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui." 

1 Giovanni 4,16


sabato 2 gennaio 2016

Commento al PROLOGO di GIOVANNI

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.        CONTINUA