lunedì 4 luglio 2016

Il teologo Basilio Petrà e lo sguardo verso la Chiesa Ortodossa

E’ un mondo che in parte non riusciamo a cogliere fino in fondo, ma con il quale i papi, da Paolo VI in poi, cercano di aprire un dialogo costruttivo.
Stiamo parlando del mondo ortodosso, che a Creta a fine giugno ha vissuto il suo primo Concilio.
Ne parliamo con don Basilio Petrà, sacerdote di Prato, intervenuto nelle scorse settimane al convegno nazionale dal SAE al Centro pastorale Bellotta di Pontenure.
— Don Basilio, la Chiesa respira con due polmoni, l’Oriente e l’Occidente. Lei, che è nato da genitori ortodossi, come vede tutto questo?
Penso che bisognerebbe essere più consapevoli del fatto di avere più polmoni. Anzi, a dire il vero non sono soltanto due. C’è anche il polmone siriaco, una tradizione da non dimenticare. Un teologo dovrebbe prendere atto di questa molteplicità di presenze e di espressioni della Chiesa. Occorre, in altre parole, un’ampiezza cattolica reale del pensare e del sentire.
 — Quali sono le caratteristiche principali del polmone orientale?
L’Oriente greco è segnato dalla percezione dell’esistenza umana chiamata alla divinizzazione. L’uomo è stato creato per diventare partecipe della natura divina condividendo l’esistenza di Dio in un disegno di comunione vitale. Nell’Oriente si avverte con forza che la Chiesa si colloca all’interno di una tradizione vivente con cui va mantenuto un legame costante. Tutto ciò non si oppone all’apertura alla novità e alle nuove necessità. Il Concilio ecumenico Vaticano II in tanti punti si ispira alla teologia dei padri Greci, riprende la prospettiva antropologica cristocentrica e la concezione della chiamata dell’uomo a partecipare e condividere l’esistenza di Dio in Cristo. Il Concilio è stato perciò il luogo in cui i due polmoni hanno cominciato a sintonizzarsi. Oggi, consapevoli di ciò che ci unisce, andrebbero riprese con maggiore decisione le sollecitazioni avviate dal Concilio.
 — Qual è il ruolo dello Spirito Santo nell’esperienza ortodossa?
In passato si è molto insistito sul maggior carattere pneumatocentrico della tradizione ortodossa rispetto alla Chiesa latina.
In parte è vero, ma nell’Oriente lo Spirito non è mai visto indipendentemente dal Cristo e dalla vita trinitaria.
Lo Spirito ha un ruolo centrale perché tutto è dovuto alla sua azione.
L’azione dello Spirito è di “cristificare” il mondo e l’uomo, cioè di portare alla partecipazione della vita divina l’uomo e il cosmo.
Lo Spirito è chiamato a trasformare l’uomo in modo da diventare sempre più intimamente simile, come struttura, come modo di pensare e di agire, al Cristo Signore.
Praticamente, “vivere in Cristo” secondo l’indicazione di San Paolo.
Gli ortodossi insistono che non si tratta di aggiungere virtù a virtù, ma di esistere in un certo modo, cioè acquisire l’esistenza conforme all’esistenza stessa di Dio.
Lo Spirito chiede a me come persona di entrare in un rapporto di comunione interiore sempre maggiore con il Cristo.
— Nei “Racconti di un pellegrino russo” si parla della preghiera del cuore con l’invocazione: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore”. In questo quadro, che significato ha questa preghiera?
La “preghiera continua” è l’elemento fondamentale che esprime più adeguatamente la prospettiva spirituale dell’Ortodossia.
Nella preghiera di Gesù vi è il riconoscimento della gloria divina, che si fa carne in Cristo e che arriva a noi attraverso la figliolanza divina di Cristo.
Vi è poi la consapevolezza del nostro peccato, della nostra povertà, del nostro non avere nessun diritto da vantare nei confronti di Dio.
Noi siamo caratterizzati dalla nostra ingiustizia, siamo peccatori…
Però fra il Signore e noi c’è il ponte, cioè la misericordia.
Il Cristo, nella prospettiva orientale, non è una presenza lontana.
In forza del battesimo noi siamo viventi in Cristo e Cristo è in noi.
Possono sembrare riflessioni astratte; in realtà questa preghiera manifesta la sua forza quando l’orante concretamente vive.
— Dall’incontro a Cuba a febbraio tra Francesco e il patriarca di Mosca Kirill alla visite a Lesbo e in Armenia: come vive la Chiesa ortodossa queste aperture al dialogo?
Ogni incontro andrebbe visto separatamente.
La Chiesa ortodossa non è come la Chiesa cattolica, ma è una comunione di Chiese nazionali autocefale.
Non ha al suo interno una figura dotata di autorità come il Romano Pontefice.
Il Patriarca di Costantinopoli ha un primato d’onore che vorrebbe estendere maggiormente o comunque vedere più riconosciuto, ma non può parlare a nome dell’Ortodossia se non ha il consenso delle altre Chiese.
A Cuba papa Francesco e Kirill hanno compiuto un passo importante.
Il Patriarca ha riconosciuto l’esistenza delle chiese greco-cattoliche.
L’incontro di Lesbo, invece, ha colpito molto ortodossi greci, ma non bisogna da qui trarre conclusioni universali per l’Ortodossia, ogni volta le cose vanno viste nel loro proprio contesto. Anche riguardo al Conclio pan-ortodosso, il cammino non è stato facile.
Se ne parlava dagli inizi del ‘900, poi la cosa si bloccò anche per la fine del socialismo reale nei Paesi del blocco sovietico.
Alla fine il Patriarca di Costantinopoli ha accelerato e il Concilio si è messo in moto. è però sufficiente che una piccola Chiesa come Cipro, che conta 300mila fedeli, blocchi un documento, che quest’ultimo non avrà valenza per tutta l’Ortodossia.
Il Concilio vuole mostrare in primo luogo agli ortodossi stessi che le Chiese ortodosse sono un’unica Chiesa.
 — Qual è invece la forza di avere un’unica autorità come il Papa nella Chiesa cattolica?
C’è un teologo e filosofo greco giovane, l’archimandrita Giovanni Panteleimon Manussakis, che sostiene che  l'Ortodossia ha bisogno di più elementi simili a quelli del Papato e che la Chiesa cattolica, nel vedere il Papato, avrebbe bisogno di più elementi simili a quelli dell’Ortodossia.
La Chiesa ortodossa dovrebbe cioè darsi più strumenti per vivere l’unità, ma senza l’investimento teologico che la Chiesa cattolica dà al Papato.
Dall’altra parte, il Papato avrebbe bisogno di dare maggiore spazio alla sinodalità e all’autonomia delle Chiese locali, articolando meglio, secondo lui, l’unità e la diversità.

Davide Maloberti
Riccardo Tonna
da Il Nuovo Giornale 1/07/2016

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